Greenwood (Invesco): “La ripresa Usa stabilizza l’economia mondiale”

“Negli Stati Uniti, a differenza di altri Paesi sviluppati e di una serie di Paesi emergenti, il processo di normalizzazione è a buon punto e il dollaro continuerà a correre raggiungendo, probabilmente la parità con l’euro entro la prossima primavera“. Ad affermarlo è John Greenwood, capoeconomista globale di Invesco, che spiega: “con l’inizio di una serie di rialzi dei tassi sui Fed Funds da parte della Fed, a partire dal prossimo 16 dicembre 2015, i mercati monetari e creditizi statunitensi si avvieranno verso la normalizzazione, dopo sette anni di anomali tassi bassi, un segnale che, nonostante la debolezza delle economie emergenti, gli Usa sono di nuovo sulla strada di una crescita regolare”.

Attenzione però, avverte Greenwood: “l’indicatore chiave da monitorare, tuttavia, sarà il tasso di crescita del credito bancario: gli Usa sono infatti l’unica grande economia in cui la crescita del credito bancario è tornata alla normalità (6-8% all’anno) ed è fondamentale che, in seguito all’aumento dei tassi, il credito continui a crescere pressoché alla stessa velocità. Se ciò accade, allora i mercati azionari e immobiliari possono ignorare la prima fase di rialzo dei tassi e supponendo che non vi sia un irrigidimento delle condizioni di credito, mi aspetto una crescita del Pil reale statunitense del 2,6% nel 2016, con un’inflazione all’1,4%”.

L’Eurozona e il Giappone sono invece ancora nel pieno di estesi programmi di Quantitative Easing volti ad aumentare il tasso di crescita della moneta e del credito, e quindi dell’economia nel suo complesso, fa poi notare l’economista di Invesco. “E con una probabile crescita per la zona Euro tra 1,5 e 1,7% nel 2016 e per il Giappone dell’1,5%, le rispettive banche centrali dovranno attendere almeno un anno, se non di più, per alzare i tassi; in entrambi i casi, la struttura dei programmi di QE presenta delle carenze che devono essere colmate per poterli rendere più efficaci”.

Inoltre, a detta di Greenwood, sia in Europa sia in Giappone la ripresa ha rallentato negli ultimi mesi, dimostrando che il recupero negli Usa e nel Regno Unito è intrinsecamente più sostenibile, per ora, rispetto alla fragile crescita registrata nella zona Euro e in Giappone. La divergenza delle politiche monetarie della Fed (e verosimilmente anche della Bank of England) da una parte, e di Bce e Bank of Japan dall’altra, potrebbe comportare un’ulteriore volatilità dei mercati valutari, obbligazionari e azionari.

In particolare, secondo l’economista di Invesco, il dollaro potrebbe ulteriormente rafforzarsi, mentre l’euro e lo yen probabilmente si indeboliranno ancora. Ciò potrebbe indebolire gli utili delle grandi società americane con significative vendite all’estero, mentre le piccole e medie imprese dovrebbe beneficiare del rafforzamento della ripresa interna. “Il quadro generale è quello di una crescita e un’inflazione entrambe contenute, in un contesto di crescita molto bassa della moneta e del credito da diversi anni”.

Il Regno Unito si trova in una situazione simile a quella degli Usa: “un’attività economica abbastanza sostenuta (stimo una crescita del 2,4% nel 2016), ma accompagnata da inflazione ben al di sotto del target – afferma l’economista – questo comporta che la Bank of England non seguirà la Fed nel rialzo dei tassi prima di febbraio o maggio 2016 almeno”.

Passando all’esame delle economie emergenti, a detta di Greenwood, il rallentamento in Cina, Brasile e Russia continuano a influenzare i mercati delle materie prime, numerosi comparti di base e i volumi commerciali globali. Inoltre, la lotta tra i produttori dei mercati emergenti, principalmente per recuperare competitività, minaccia molte valute locali portando alla necessità di un ulteriore deprezzamento.

Le economie emergenti devono affrontare tre problemi principali. “In primo luogo – avverte l’economista – molte di loro hanno permesso tassi di crescita eccessivi della moneta e del credito nel 2009-13; in secondo luogo, la maggior parte di esse dipende ancora eccessivamente da un modello di crescita trainata dalle esportazioni; e terzo, molte dipendono in modo significativo dalle esportazioni di materie prime, in un momento in cui i prezzi delle commodity sono crollati”.

Dopo la temporanea ripresa del prezzo del petrolio tra marzo e maggio 2015 a 60-65 dollari al barile, i prezzi delle materie prime hanno subito un’altra battuta d’arresto nel terzo trimestre del 2015 e i tassi d’inflazione sono rimasti molto bassi nella maggior parte delle economie più sviluppate. “La generale minore inflazione riflette non solo l’effetto diretto della debolezza dei prezzi delle materie prime, ma anche il persistente scenario di rallentamento della crescita del denaro e del credito che ha caratterizzato il periodo post-crisi. Solo negli Usa i tassi di crescita della moneta e del credito sono tornati nella norma. Nonostante tali battute d’arresto di breve e medio termine nel processo di ripresa, la mia visione di lungo periodo rimane quella di un’espansione del ciclo economico globale prolungata. La ragione principale è che la crescita inferiore alla media e la bassa inflazione dovrebbero evitare politiche di inasprimento monetario che chiuderebbero precocemente la fase di espansione”.

Le recessioni o la debolezza della crescita nelle economie emergenti difficilmente, secondo l’economista di Invesco, possono deragliare la lenta ripresa in quelle sviluppate: “sebbene alcune imprese o settori non possano evitare l’impatto dei problemi dei mercati emergenti, la trasmissione delle forze fondamentali, quali la politica monetaria e il risanamento dei bilanci, va ancora principalmente dai mercati sviluppati a quelli emergenti e non viceversa. Inoltre, la ripresa negli Stati Uniti, anche se in atto già da cinque anni, inizia solo ora ad assumere le caratteristiche tipiche di una ripresa normale: le banche stanno ora erogando credito al posto della Fed, gli investimenti delle imprese si stanno riprendendo e la spesa dei consumatori sta riguadagnando il suo normale slancio”.

Ciclo tassi interessi

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