Tassi Usa al livello più alto dal 2011 e petrolio al top dal 2008

A cura di Banca del Piemonte
Tassi Usa al massimo dal 2011 Un potente movimento di rialzo sulla curva US ha condizionato negli ultimi giorni i mercati globali (non solo obbligazionari) e ha tolto i riflettori dalle volatili dinamiche politiche nostrane. Il movimento sui tassi statunitensi, che ha visto un’accelerazione significativa nella parte finale della sessione di mercoledì, è stato indubbiamente importante. I massimi (di rendimento) dell’anno sono stati rotti con decisione un po’ su tutte le scadenze. Il rendimento del Treasury 10Y ha chiuso la sessione di mercoledì con un progresso di 12bp, salendo sopra quota 3.20%, livelli che non si vedevano dal 2011 (i precedenti massimi dell’anno erano stati toccati 3.12%). La tempesta sulla curva Usa, generata da diversi fattori in rapida successione, è stata quasi perfetta:

  • Dati Usa molto robusti soprattutto nella loro componente occupazionale, con i Payrolls in arrivo in grado di amplificarne l’impatto di mercato: la rilevazione privata ADP ha mostrato una creazione di 230k posti di lavoro vs 184k attesi; l’indice ISM non manifatturiero, rilevato a 61.8 ha toccato il livello più alto dal 1997 e la componente occupazionale, mettendo insieme il dato manifatturiero uscito due giorni prima con quello non manifatturiero, risulta il più alto di sempre anche qui dal 1997.
  • Jay Powell, in un intervento mercoledì sera, ha reso più espliciti gli aspetti hawkish che erano emersi, con più difficoltà già nella conferenza stampa del FOMC di settimana scorsa.
  • Amazon alzerà il salario orario minimo dei suoi dipendenti meno pagati (per gli Stati Uniti verrà portato a 15 dollari, molti concorrenti al momento viaggiano sui 10-11). Questo alimenta la narrativa di un mercato del lavoro ormai arrivato a un punto in cui l’emergere di una significativa inflazione salariale appare inevitabile.
  • La stabilizzazione dei mercati italiani ha contribuito a togliere supporto ai governativi ‘core’. L’effetto è stato più evidente in Europa (Bund) ma nei giorni di forte vendite sui BTP anche i Treasury avevano presumibilmente ricevuto un aiuto da flussi in cerca di un porto sicuro. Supporto che è venuto a mancare nella giornata di mercoledì.
  • La rottura tecnica dei massimi del ciclo è stata sottolineata in maniera unanime ed è stata con ogni probabilità alla base della forza e velocità del movimento. In particolare sul 30Y molti analisti tecnici hanno da tempo indicato 3.25% come uno spartiacque importante.

Da sottolineare come questi movimenti siano avvenuti in un contesto di attese inflazionistiche pressochè immutate, con conseguente significativo rialzo dei tassi reali. L’impatto potrebbe quindi essere rilevante nei prossimi mesi per il mondo HY in generale (possibile aumento dei premi al rischio e degli spread) e, soprattutto, per gli emittenti con rapporti di indebitamento più elevati.

Petrolio sui massimi dal 2008 Il petrolio è tornato a fare paura. I prezzi stanno salendo velocemente con un dollaro sempre più forte, che per molti Paesi amplifica l’effetto dei rincari, il rischio è che ci siano ricadute sulla crescita economica. Dopo le ripetute denunce di Donald Trump (che però addossa la responsabilità del rally esclusivamente all’Opec), ieri anche il direttore dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), Fatih Birol, ha suonato l’allarme. «Siamo piuttosto preoccupati che il caro energia sia tornato e che possa nuocere all’economia globale in un momento di vulnerabilità», ha detto Birol, appellandosi in generale ai «Paesi esportatori di greggio» (Usa compresi) perché facciano il possibile per aumentare le forniture al mercato. «Con questi prezzi mi aspetto che la crescita della domanda in India, in altre parti dell’Asia e nelle Americhe abbia un impatto negativo». Le sanzioni Usa contro l’Iran, la scarsa fiducia nella capacità dell’Opec e della Russia di colmare le carenza di offerta e una speculazione sempre più aggressiva nel puntare su ulteriori rialzi hanno accelerato il rally del petrolio. Le ricadute sulle economie impattano prevalentemente i Paesi importatori di greggio le cui valute quest’anno si sono già svalutate: il costo delle importazioni sale, ma svalutare la moneta per incoraggiare le esportazioni e riequilibrare la bilancia commerciale non è più possibile. Alcune valute sono già deboli e ora non solo c’è l’inflazione da combattere, ma la stretta monetaria avviata dalla Fed sta facendo lievitare il costo del debito, spesso contratto in dollari. Per questo motivo la salita dei rendimenti negli Usa contribuisce ad allontanare gli investitori dai mercati obbligazionari emergenti.

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