Sotto la lente: volatilità greca nel breve termine ed economia Usa nel medio periodo

a cura di Banca Intermobilare

Poche novità rispetto allo scenario delineato la settimana scorsa, con i mercati finanziari che continuano ad attraversare una fase piuttosto confusa, che negli ultimi giorni si è anche tradotta in un certo peggioramento del momentum e del quadro tecnico delle Borse. Come avevamo ipotizzato i toni del dibattito sulla Grecia si sono alzati: Tsipras parlando di fronte al Parlamento ha auspicato che vengano ritirate le proposte irrealistiche presentate da Juncker, quest’ultimo ha replicato non rispondendo ad una telefonata dello stesso Tsipras e dichiarando che il premier ellenico ha mal rappresentato lo stato delle negoziazioni al suo Parlamento.

E’ evidente che la difficoltà nel trovare un accordo sulla crisi greca risiede nel fatto che è ben chiaro a tutti che l’Europa non vuole correre il rischio della Grexit e questo consente al Governo Tsipras di “tirare la corda” molto più di quanto consentirebbe la difficile situazione finanziaria del paese. Tra l’altro, la decisione di accorpare a fine giugno i rimborsi al FMI ha fatto venire meno un altro elemento di pressione sul Governo greco.
Non è un caso che il Governo Tsipras continui a considerare come base di partenza delle trattative la propria proposta ai creditori inviata la settimana scorsa ed in queste ore ha provveduto ad inviare al Commissario europeo per gli affari economici, Pierre Moscovici, un’integrazione del piano iniziale, con specifici approfondimenti relativi ai target di budget ed alla sostenibilità del debito.

Restiamo dell’idea che un accordo sarà trovato e crediamo anche che dovrà essere più l’Europa ad andare incontro alla richieste della Grecia che non il contrario, ma proprio per questo c’è il rischio che le discussioni si protraggano sino all’ultimo secondo disponibile e pertanto occorre mettere in conto il rischio di un crescente nervosismo.

Sulla base dello scenario da noi delineato la Grecia è destinata ad essere più una fonte di volatilità nel breve termine (soprattutto per le Borse europee) piuttosto che una problematica destinata a impattare negativamente il trend di medio periodo dei mercati. Come abbiamo più volte indicato, a livello strategico proprio le Borse europee dovrebbero beneficiare dei tre driver rappresentati dal miglioramento ciclico dell’economia, dalla Banca Centrale espansiva e dalle valutazioni non tirate.

Sulle prospettive di medio termine continuerà, però, a giocare un ruolo rilevante l’andamento dell’economia americana, dalla quale negli ultimi giorni sono arrivate indicazioni abbastanza costruttive. I dati sulla bilancia commerciale, quelli sul mercato del lavoro e gli indici anticipatori sembrano andare tutti nella direzione della temporaneità del rallentamento di questa prima parte dell’anno. Come indicato nello scorso numero si sta profilando uno scenario che vede una buona crescita americana, seppure inferiore alle aspettative di inizio anno: vanno in questa direzione le recenti stime del FMI che per gli Stati Uniti nel 2015 prevede una crescita del 2.5% dal precedente 3.1%.
Si tratta di un livello di crescita che metterebbe la FED nelle condizioni di poter avviare l’aumento dei tassi di interesse a fine anno (uscendo da una posizione piuttosto scomoda), ma al tempo stesso le darebbe la possibilità di seguire un percorso estremamente graduale nel processo di rialzo.

La volatilità di breve termine sui mercati finanziari ha trovato, un po’ a sorpresa, un contributo nell’intervento di Draghi in occasione del meeting della BCE della settimana scorsa, che sembra confermare il fatto che, arrivati a questo punto, i banchieri centrali non disdegnino, entro certi limiti, un aumento del premio per il rischio. Infatti, con riferimento al recente nervosismo che ha caratterizzato il mercato obbligazionario, il Presidente della BCE ha dichiarato che, considerato il basso livello dei tassi, bisogna mettere in conto di avere a che fare con una crescente volatilità.

Una maggiore volatilità sul mondo obbligazionario ha un effetto contagio sul comparto azionario, anche se quest’ultimo su un arco temporale più ampio dovrebbe essere in grado di digerire un aumento ordinato dei rendimenti grazie proprio al miglioramento dell’economia.

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