I tre cambiamenti strutturali che faranno bene all’obbligazionario

A cura di Mark Nash, Head of Fixed Income, Merian Global Investors

Il 2018 sarà ricordato dagli investitori obbligazionari come l’anno in cui il bull market durato 36 anni  è giunto alla fine. I prezzi dei bond sono aumentati costantemente da quando l’ex Presidente della Federal Reserve Paul Volcker ha alzato i tassi in maniera aggressiva nei primi anni ’80 per tentare di contenere l’inflazione galoppante. Ad ottobre 2018 il rally obbligazionario ha iniziato a sembrare precario, quando i rendimenti dei Treasury Usa hanno puntato al rialzo. I mercati finanziari hanno quindi iniziato a rendersi conto che gli anni del quantitative easing stavano giungendo al termine.

I rialzi dei tassi continueranno…

Nonostante ciò, riteniamo che la Fed continuerà ad alzare i tassi di interesse nel 2019. Nel corso degli ultimi due anni, i policymaker hanno cercato di evitare che l’economia più grande del mondo si surriscaldasse. Nonostante i loro sforzi, la politica monetaria più restrittiva è rimasta vaga e le condizioni finanziarie negli Stati Uniti in realtà sono diventate più accomodanti.

La crescita economica continua ad essere solida, i tassi di interesse troppo accomodanti e la leva finanziaria ha lentamente ricominciato ad essere utilizzata. È per tale ragione che riteniamo che il mercato dovrebbe prepararsi ad affrontare un rialzo dei tassi della Fed, che potenzialmente potrebbero superare il 3%.

…e i rendimenti obbligazionari saranno più elevati

Ciò significa anche che i rendimenti dei bond continueranno ad aumentare, mano a mano che la Banca Centrale cercherà di muoversi in anticipo. Ovviamente, la politica monetaria degli Stati Uniti è solo uno dei driver del rendimento. L’altro è rappresentato dal cosiddetto “term premium”, vale a dire l’extra rendimento che dovrebbe essere corrisposto agli investitori per detenere un’obbligazione a scadenza più lunga piuttosto che una serie di strumenti con maturità inferiori.

Il ritorno del “term premium”

Sebbene il “term premium” storicamente sia sempre stato positivo, si è trovato in territorio negativo per gran parte degli ultimi due anni, spinto verso il basso dal QE in Europa e in Giappone. A nostro avviso, nel 2019 dovrebbe tornare ad un livello di normalizzazione, grazie ad una serie di cambiamenti strutturali nel mercato:

  1. Le economie emergenti non stanno più acquistando dollari (e quindi reinvestendo in Treasury Usa) per difendersi dalla debolezza della loro valuta;
  2. La Cina è passata da fornire liquidità al resto del mondo (per gran parte attraverso l’acquisto di Treasury Usa) ad importare il capitale;
  3. E infine, sia l’Europa e il Giappone hanno segnalato che prevedono di porre fine ai rispettivi programmi di acquisto di asset. Ciò dovrebbe portare a un’inversione dei forti flussi in entrata nei mercati obbligazionari Usa, via via che i rendimenti dei mercati domestici tornano ad essere sempre più attraenti.

E infine…

La volatilità: gli investitori possono aspettarsi di vedere un maggior livello di volatilità nel 2019, mano a mano che il “term premium” continua a normalizzarsi. Nel 2018 qualsiasi rialzo del “term premium” ha portato a un periodo di volatilità nelle altre asset class, soprattutto nel mercato azionario Usa, che ha subito un forte sell-off ad ottobre.

Di conseguenza, in questo contesto di maggiore normalizzazione (anche se più volatile), i fondi absolute return sono in una posizione migliore per sovraperformare rispetto ai fondi long-only. I gestori che hanno la possibilità di investire ovunque e in maniera sia long che short saranno i meglio posizionati per trarre vantaggio dalle opportunità di investimento, via via che si presentano.

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