India, la burocrazia è stata finalmente dichiarata nemica dello Stato

A cura di Madhav Bhatkuly, gestore del fondo GAM Star India Equity
Ancora una volta, il mercato azionario cinese è riuscito quest’anno a catturare l’attenzione degli investitori internazionali. Ma mentre questi sono angosciati dalla decisione di salire o meno sul treno dei soldi facili o di stare alla larga da una potenziale bolla, potrebbero perdere l’occasione di cogliere miglioramenti dei fondamentali e strutturali da altre parti, come in India. A contrario di quello cinese, il mercato azionario indiano ha avuto molte più difficoltà nel corso di quest’anno. In primo luogo, il mercato ha dovuto lottare con dei flussi in uscita visto che gli investitori hanno scelto di dirigere i capitali sulla Cina. Secondo, un contenzioso di natura fiscale con gli investitori e le grandi imprese straniere ha occupato le prime pagine, offrendo una scusa attesa per delle prese di profitto che hanno fatto seguito al rally significativo dopo la vittoria di Modi alle elezioni.
L’India è brava nell’ostacolare gli affari. Le ambizioni e gli sforzi riformisti dello stesso Modi sono stati oggetto di grande dibattito sia prima che dopo la sua salita al potere. Comprensibilmente, il cuore del processo sul fronte burocratico e amministrativo può non essere così entusiasmante o da prima pagina. Ma non dovrebbe essere sottovalutato. È infatti imprescindibile, se l’India intende raggiungere il suo obiettivo di riuscire ad attrarre società e incoraggiare lo spirito imprenditoriale tra le fasce più istruite della popolazione. Fino a oggi, fare affari in India è tutt’altro che semplice: la strada è piena di inciampi e occorre molta resistenza per superare gli ostacoli burocratici.
La classifica ‘Ease of Doing Business’, stilata dalla Banca Mondiale, rispecchia nettamente il compito enorme che aspetta l’India: su 189 Paesi considerati l’India nel 2015 occupa il 142esimo posto del ranking. Nella sezione ‘iniziare un’attività’ è invece al 158esimo, e in quella ‘avere a che fare coi permessi di costruzione’ è addirittura al poco dignitoso 184esimo posto. Questi risultati danno credito al vecchio detto: “Gli inglesi hanno introdotto la burocrazia e gli indiano l’hanno perfezionata”.
Si stanno facendo progressi, in quanto il governo ha realizzato che la lunga procedura per ottenere dei permessi di costruzione è particolarmente dannosa per l’attività economica. Per citare un esempio: nello Stato del Karnataka, in cui si trova la città di Maharashtra, per ottenere il via libera a costruire una fabbrica su un terreno che era già stato autorizzato per uso commerciale richiede non meno di 72 permessi diversi. Ciò richiede quasi tre anni. Lo scopo ambizioso è ora quello di ridurre i permessi a 20, che possono essere ottenuti entro i tre mesi.
Tagliare le complicanze fiscali. Commerciare all’interno dell’India stessa è poi reso complicate da una regolamentazione che è difficile da comprendere oggi e nell’era della globalizzazione. I dazi di importazione ed esportazione, normalmente applicati al commercio tra differenti Paesi, sono in realtà imposti tra i diversi Stati all’interno dell’India. A titolo di esempio: una birreria che vuole vendere la sua birra al di fuori dello Stato in cui la produce è soggetta ad un’elevata tassazione. Il risultato è che è necessario costruire altre birrerie negli altri Stati per evitare le tasse. Perciò, Heineken (attraverso i suoi interessi in United Breweries) lavora con un totale di 27 birrerie in India – una per ogni Stato – mentre Anheuser-Busch ne ha solo due negli Stati Uniti. Queste due birrerie americane insieme producono molto più di tutte quelle indiane sommate. Le inefficienze che derivano da questa regolamentazione sono semplicemente sconcertanti. Ma ugualmente straordinarie sono le opportunità che derivano con la proposta di arrivare a una singola imposta nazionale su beni e servizi, prevista per il 2016. Anche se i prodotti alcolici possono essere tenuti fuori da questa imposta, questa idea mostra piuttosto bene le sfide di imposte multiple e varie.
L’India è in un momento favorevole. Le riforme per combattere la burocrazia sono l’ultimo miglioramento tangibile in India. Nel frattempo, la sua storia di sviluppo strutturale potrebbe essere difficilmente più positiva. In realtà, per la prima volta da un periodo molto lungo, quattro importanti fattori stanno avvenendo contemporaneamente: innanzitutto, le società stanno entrando in un nuovo ciclo di profitti. Gli utili aziendali, considerati come percentuale del PIL, sono al loro livello minimo dal 2003 e i segnali di un incremento dell’attività puntano verso un’inversione di rotta. Secondariamente, la politica sta cambiando per il meglio, con l’agenda delle riforme del Presidente Modi sta godendo di un largo supporto dell’elettorato.
Le sue riforme dovrebbero rendere l’India un luogo molto più attraente per gli affari. In terzo luogo, la politica monetaria si è dimostrata efficace nel combattere l’inflazione, dando alla Banca Centrale margine per tassi di interesse più bassi in un periodo in cui gli altri grandi mercati si stanno muovendo nella direzione opposta. Infine, l’intensità petrolifera dell’India, ovvero la misura di efficienza di utilizzo del petrolio, è al massimo livello tra i mercati emergenti. Il basso valore del greggio è di beneficio per la bilancia commerciale indiana, il che è positivo per le previsioni valutarie, almeno su base relativa. Riteniamo che la confluenza di questi quattro fattori sta rendendo l’India una proposta di investimento molto attraente per i prossimi cinque anni od oltre, indipendentemente dall’andamento del resto dei mercati emergenti.

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