M&A, nel 2020 pochi affari ma di peso
Il volume di M&A è cresciuto in Italia nel 2020, ma solo per affetto di alcune operazioni rilevanti e di importo superiore al miliardo (come l’acquisizione di Ubi Banca da Intesa Sanpaolo). Senza quelle, infatti, l’ammontare transato si è abbattuto di circa il -24,8%. Dalla scorsa estate il mercato si è parzialmente risvegliato, anche se il 2021 sarà caratterizzato da spinte contrapposte tra acquirenti e venditori, con molti punti interrogativi sulla solidità delle nuove operazioni. È quanto emerge dal report firmato da Ernst & Young dal titolo “Nuova analisi EY sui trend M&A: le attività di aggregazione e investimento in Italia nel 2020 e le opportunità per la ripartenza nel 2021” (clicca qui per leggere il report completo).
Nella prima metà del 2020, per effetto del primo lockdown imposto in Italia e nelle principali economie avanzate da marzo a maggio a causa del propagarsi del Coronavirus, l’attività M&A in Italia ha subìto una battuta d’arresto, registrando il valore aggregato delle acquisizioni più basso dalla crisi finanziaria del 2008 (circa € 16,6 miliardi per 219 deal). A partire da luglio abbiamo però assistito ad una buona ripresa e il totale investito nel nostro Paese nel corso del 2020 considerando, da un lato, investimenti nelle aziende (M&A) e investimenti istituzionali nel settore immobiliare (Commercial Real Estate) è da noi stimato in circa € 48 miliardi, in linea con il 2019.
Dal punto di vista M&A, il volume investito in Italia è da EY stimato in € 39 miliardi, in lieve crescita (+6%) rispetto al 2019. Il dato è stato trainato da alcune rilevanti operazioni di controvalore superiore a € 1 miliardo, specie nel settore finanziario. Epurando il dato da tali operazioni, quindi concentrando l’attenzione sui deal nel cosiddetto Mid Market, il dato è certamente meno positivo, con una riduzione dell’ammontare transato nel 2020 di circa il – 24,8% anno su anno.
Le società italiane operanti nei vari settori, assorbite dall’emergenza sanitaria, si sono inizialmente concentrate sul monitoraggio della liquidità, sulla gestione dei rapporti di fornitura e delle procedure di working from home, posticipando i piani di M&A. I fondi di Private Equity, focalizzati sul garantire un’adeguata liquidità alle portfolio companies per renderle più resilienti nel periodo di transizione, hanno rimandato i piani di acquisizione e interrotto le negoziazioni e i processi di cessione in corso a febbraio 2020. Tuttavia, da luglio in poi, si è assistito a una ripresa significativa dell’attività transazionale, incluse operazioni di grandi dimensioni eccedenti il valore di € 1 miliardo. Nella seconda metà del 2020 si sono registrate ben 300 transazioni con target italiane, per un valore aggregato di circa € 22,4 miliardi.
Il numero delle transazioni nel 2020 è risultato in calo in vari settori, in primis in quei settori tipici del Made in Italy che più sono stati penalizzati dall’effetto delle restrizioni anti-Covid e dal clima di sfiducia di consumatori e imprese, quali Retail, beni di consumo non alimentari, prodotti e macchinari industriali. Altrettanto impattati i comparti trasporti, outdoor e tempo libero e costruzioni, per cui le imprese sono risultate meno appetibili per investitori strategici e finanziari. Il settore dei servizi finanziari è risultato il più performante per valore aggregato di acquisizioni (€ 13,7 miliardi), trainato dalla fusione di UBI Banca in Intesa Sanpaolo, che diventa quindi il settimo gruppo bancario dell’Eurozona per fatturato e il terzo per capitalizzazione di Borsa.
Il Private Equity si conferma un attore fondamentale per l’M&A in Italia, avendo realizzato circa il 35% delle transazioni avvenute nell’anno. Durante l’anno i fondi di Private Equity e i fondi infrastrutturali, soprattutto esteri, hanno concluso circa 117 operazioni di buy-out su target italiane per un valore aggregato di € 10 miliardi. Il valore, nonostante l’impatto del Covid-19, si conferma in linea con la media del periodo 2015-2019. I fondi si sono concentrati sugli investimenti nei settori più difensivi e resilienti alla crisi, quali infrastrutture digitali e fisiche, energia, farmaceutico, healthcare, agroalimentare, packaging.
Nel corso del 2020 una nuova asset class di investimento, nel radar dei fondi di PE, si è rivelata per il suo potenziale ed è rappresentata dalle squadre professionistiche di calcio. Anche questo settore è stato fortemente impattato dalle misure di contenimento della propagazione del virus, con stop al campionato e la chiusura al pubblico degli stadi, determinando una consistente riduzione di ricavi da ticket e mettendo anche in discussione gli accordi in essere sui diritti televisivi. La proposta del fondo CVC di creare una partnership con Lega Serie A per la costituzione di una cosiddetta MediaCo finalizzata ad una più efficace valorizzazione degli asset delle squadre, in primis i diritti televisivi, ha fatto emergere come anche nel nostro Paese possa avviarsi una profonda trasformazione del settore, attirando nuovi capitali, specie internazionali (come nei casi della AS Roma e del Parma Calcio). Tenendo conto di alcune tensioni finanziarie nel sistema, dovute al raffreddamento del trading player e della riduzione di incassi da ticket, e tenendo conto del crescente interesse dei fondi di PE, si attende una crescita dell’attività M&A in questo settore.
Marco Daviddi, Mediterranean Leader dell’area Strategy and Transactions di EY, commenta: “Nonostante l’outlook moderatamente positivo per l’attività M&A in Italia, nel 2021 il mercato sarà caratterizzato da spinte contrapposte, tra acquirenti e venditori, con molti punti interrogativi sulla solidità della pipeline di nuove operazioni. L’effetto combinato di riduzione di ricavi e di crescente indebitamento pone in maniera forte il tema della solidità patrimoniale delle imprese, già caratterizzate, storicamente nel nostro Paese, da dimensione contenuta e limitata disponibilità di capitale. Tutto questo in un contesto che rende ancora più urgenti interventi di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale, specie per quanto riguarda canali di vendita, supply chain e processi di re-skilling del personale. I fondi potranno avere un ruolo determinante se saranno in grado di strutturare operazioni più complesse rispetto al passato e ci aspettiamo anche una sensibile ripresa della raccolta di capitali sui mercati regolamentati”.
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