Azionario ad alta volatilità, ecco come proteggersi

A Piazza Affari la marcia è passata da “avanti piano” a “indietro tutta” facendo scattare in piena estate un allarme rosso sui monitor degli operatori. A cominciare da quelli esteri che, fatta eccezione poche blue chip italiane per ramo di attività storicamente decorrelate rispetto al trend dell’indice Ftse Mib gravato soprattutto dal comparto bancario, stanno rapidamente abbandonando il listino domestico a favore di Borse meno volatilili e asset class come l’oro statisticamente percepite come più sicuri approdi dove rifugiare in queste fase la liquidità, comunque ancora elevata data la politica monetaria di fondo sempre accomodante delle banche centrali.

Come comportarsi?

Anzitutto “tagliando” le perdite (eventuali) nei propri portafogli perchè il rischio reale è che potrebbero amplificarsi se lo scenario macroeconomico e politico dovesse diventare ancora meno chiaro di quello attuale. E al contempo lasciar “correre” i guadagni, con la cautela però di ridurre almeno in parte l’esposizione portando, come si suol dire, “il fieno in cascina”, ovvero prendere beneficio su una frazione degli investimenti in funzione della propria proprensione al rischio. Avendo però l’accortezza di “abbandonare la nave” salvando il salvabile nel caso in cui anche Wall Street dovesse dare significativi e bruschi segnali di cedimento: l’indice S&P 500, nel bene e nel male, resta sempre il principale benchmark di riferimento che detta la direzione di fondo degli altri principali panieri azionari a livello globale.

In secondo luogo, se si cercano occasioni, puntare (al pari della maggior parte degli istituzionali) sui settori maggiormente difensivi e aciclici come, per esempio l’healt care, l’alimentare e le utility, facendo comunque molta attenzione alla selezione. Ed evitando comparti quali quello bancario (per le ragioni dette poc’anzi), petrolifero, dove la volatilità resta superiore alla media storica e, per la stessa ragione, automobilistico.

Un capitolo a parte lo merita poi il settore hi-tech e i titoli che vantano un alto rendimento del dividendo (ad high dividend yield, come si dice in gergo). Nel primo caso infatti in media le azioni sono già salite molto da inizio anno e registrano multipli delle principali big cap del comparto ancora alquanto elevati nonostante le recenti correzioni, ragion per cui occorre prestare estrema attenzione. Nel caso dei titoli ad alto rendimento del dividendo invece potrebbero (condizionale d’obbligo però) restare nei protafogli di una parte degli istituzionali data la loro intrinseca appetibilità.

Infine dando uno sguardo all’asset class dei Paesi Emergenti, per quanto riguarga l’azionario, sebbene mediamente le economie siano ancora robuste a livello domestico e abbiano dimostrato una notevole resilienza agli shock globali (guerra commerciale compresa), la forza del dollaro resta il loro vero tallone d’Achille. E almeno in ottica di medio termine non si intravedono per il biglietto verde significanti segnali per una stabile inversione del trend in atto ormai dalla fine dello scorso mese di giugno.

 

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