I mercati ignorano i dati macro. Tanto ci sono Fed e Bce…

A cura di Wings Partners Sim

Chiusura di settimana movimentata dall’importante dato americano sul mercato del lavoro, che deludendo le aspettative (per altro elevate dopo il buon esito della pubblicazione dell’indice ADP relativo al settore privato il giorno precedente) mostra un consuntivo di 130.000 nuovi occupati contro i 160.000 attesi (con oltretutto una revisione al ribasso di 20.000 posti per il mese precedente). Rimane stabile il tasso di disoccupazione al 3,7% mentre si registrano pressioni rialziste sia sui guadagni medi orari che nei guadagni settimanali, sebbene sia il settore manifatturiero che soprattutto quello al dettaglio continuino a mostrare perduranti segnali di debolezza.

Il trend di indebolimento nell’occupazione americana è ormai evidente, dato che se escludiamo l’occupazione statale, il settore privato ha aggiunto una media di 136.000 nuovi occupati negli ultimi sei mesi, contro i 165.000 dell’’anno passato ed i 215.000 del 2018; eppure questa non viene recepita necessariamente come una notizia negativa (a giudicare dalle chiusure dei mercati azionari venerdì scorso) perché, ed è intuitivo, rappresenta un ulteriore tassello a favore di politiche espansive da parte della Fed, il cui ribasso nel costo del denaro in occasione della prossima riunione per 25 bps appare ormai quasi unanimemente scontato.

E l’Europa attende ancora Draghi

La settimana si apre all’insegna dei soliti temi, con Boris Johnson impegnato in un duro braccio di ferro con il parlamento in vista della (a suo dire) immutabile scadenza del 31 ottobre (come preventivato nel frattempo la Francia si è detta contraria a qualsivoglia ulteriore estensione del termine ultimo) e Draghi chiamato giovedì alla sua ultima mossa espansiva per stimolare la crescita europea; in Cina questa notte i dati commerciali iniziano a far trasparire le difficoltà generate dall’attuale guerra commerciale con le esportazioni in agosto inaspettatamente in contrazione dell’1% contro un rialzo del 3,3% atteso ed il surplus commerciale del paese che si contrae nel mese a 34,83 miliardi di dollari contro i 44,59 miliardi di luglio.

Anche qui stimoli in campo con l’ulteriore riduzione delle riserve obbligatorie bancarie per 50 bps (che dovrebbero liberare circa 90 miliardi di dollari di ulteriori prestiti) e voci ricorrenti di interventi al ribasso dei tassi nel breve termine.

Tra un oro che sembra rientrato in fase attendista poco sopra 1.500 dollari l’oncia (qualcuno ha recentemente parlato di target a 10.000 dollari senza forse pensare che un tale scenario implicherebbe un collasso totale nel sistema finanziario globale che a quel punto renderebbe poco utile andare in giro con lingotti sotto il braccio) e Petrolio nuovamente in rialzo in attesa del meeting dell’Opec, i metalli non ferrosi continuano ad oscillare nervosamente, confermando la tenuta di quota 5.800 dollari per il rame e anche una seppur lieve ripresa per le quotazioni dell’alluminio (questa mattina a ridosso di quota 1.800 dollari) la cui debolezza delle domanda rimane però evidenziata dal basso livello dei premi negoziati in Giappone per il quarto trimestre (97 dollari a tonnellata) e dal costante deterioramento dei prezzi del secondario in Usa dove i prezzi del materiale A380.1 consegna Midwest si sono recentemente portati sui minimi decennali (63-67 cent per libbra) generando una ovvia concorrenza al primario.

Nickel sempre volatile con quotazioni che oscillano nervosamente tra 17.400 e 17.800 dollari e un ritorno della backwardation a 58 dollari a tonnellata dopo l’allentamento registrato nelle giornate passate.

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