Unicredit esce da FinecoBank, Mustier guarda all’Europa

Unicredit esce da FinecoBank e con una decisione a sorpresa, a soli due mesi dal precedente collocamento di un 17% della rete di consulenti finanziari guidata da Alessandro Foti, colloca tramite una procedura di accelerated bookbuilding a investitori istituzionali gli ultimi 111,6 milioni di azioni ordinarie detenute in FinecoBank, pari a circa il 18,3% del capitale, al prezzo di 9,85 euro per azione (con uno sconto di circa il 4,4% rispetto all’ultimo prezzo di chiusura di FinecoBank prima dell’annuncio).

In questo modo la banca guidata da Jean-Pierre Mustier esce completamente dal capitale di FinecoBank, raccoglie circa un miliardo di euro e vedrà un incremento di circa 30 punti base del Cet1 di gruppo (pari al 12,25% a fine marzo, atteso tra il 12 e il 12,5% a fine giugno) alla fine del terzo trimestre 2019. Lo stesso Mustier, parlando a maggio coi giornalisti ai margini della presentazione dei conti trimestrali, un paio di giorni dopo il precedente collocamento di titoli FinecoBank, aveva detto che il gruppo non aveva fretta di vendere la residua partecipazione e avrebbe valutato “in base al contesto” se e quando procedere, ribadendo che la cessione di quote non implicava un cambio di strategia ma solo “un aggiustamento”.
Aggiustamento che ora pare farsi più marcato, anche se non per questo più chiaro tanto che la reazione iniziale del mercato è di grande prudenza nei confronti del titolo Unicredit, che in avvio di giornata cede oltre mezzo punto oscillando poco sopra gli 11,27 euro per azione, circa un 23% al di sotto delle quotazioni di 12 mesi fa, pur conservando un 6% di recupero nelle ultime 5 sedute di borsa.

Verso la trasformazione di Unicredit in una banca europea

Commentavano già in maggio alcuni analisti come la progressiva uscita da FinecoBank potesse rappresentare un’anteprima del piano strategico al 2023 che sarà presentato il prossimo 3 dicembre. Un’anteprima che va di pari passo al progressivo calo degli stock di titoli di stato nazionali in portafoglio, così da allinearsi alle percentuali medie delle maggiori banche europee, e l’accelerazione del de-risking, che la stessa banca si attende potrà essere “significativamente al di sopra dell’obiettivo del 2019 di 14,9 miliardi” ed in linea con l’obiettivo di un run-off entro il 2021.

Mustier non ha del resto mai fatto mistero di voler trasformare compiutamente Unicredit in una “banca europea con sede in Italia e quotata in Italia”, in questo sempre più differenziandosi dalla storica rivale Intesa Sanpaolo, sempre più calata nel ruolo di “banca di sistema” italiana con qualche controllata in Europa. Al momento la strategia, con tutte le cautele del caso, sembra non dispiacere agli analisti fondamentali: sul titolo esistono infatti ben 22 giudizi positivi (13 “buy” e 9 “outperform”) a fronte di soli 3 giudizi neutrali (“hold”) e uno negativo (“sell”), con un target price di consenso appena superiore ai 15 euro per azione che implica un potenziale rialzista del 33% circa dai livelli odierni.

Agli attuali livelli, inoltre, il prezzo è pari a 5,95 volte l’utile per azione 2019 che il consenso prevede pari a 1,91 euro. Positivi anche gli analisti tecnici, che segnalano un trend rialzista di medio termine anche se nelle ultime sedute pare aver perso forza a breve, pur restando i prezzi al momento al di sopra della media mobile più lenta e dunque confermandosi il quadro tecnico nel complesso positivo anche a breve. Così nell’immediato i primi obiettivi sono individuati dalle resistenze in area 11,88-12,2 euro per azione (12,33-12,50 a 5 giorni), ma non si esclude un possibile ulteriore storno che potrebbe riportare il titolo sui supporti attorno agli 11 euro (11,05 a 5 giorni).

In caso di ulteriore pressione è possibile un’accelerazione ribassista di breve fino al successivo supporto intorno ai 10,15 euro (10,75 euro a 5 giorni), che potrebbe rappresentare un buon livello d’ingresso per chi volesse scommettere sul successivo recupero delle quotazioni. Nel frattempo è probabile che il titolo resti sotto i riflettori in attesa del varo del nuovo piano industriale, in vista del quale, secondo alcune indiscrezioni di stampa, la banca starebbe già cercando un advisor per rivedere la struttura societaria così da rafforzare il profilo europeo e migliorare il funding.

Nell’ambito di tale revisione potrebbe nascere una sub-holding in Germania a cui verrebbero conferite tutte le attività estere: chissà se anche in questo caso razionalizzazione farà rima con cessione, o se non possa essere, piuttosto, una leva attraverso cui condurre una successiva campagna acquisti. Deutsche Bank, dopo tutto, vale appena 14 miliardi di euro contro i 25 miliardi abbondanti di Unicredit. A pensar male si fa peccato, ma chissà.

A cura di Luca Spoldi, Cefa, 6 In Rete Consulting Ceo (www.6inrete.it)

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