Mercato bipolare, l’antica panacea delle banche centrali non basta

A cura di Sander Bus e Victor Verberk, co-responsabili del team sul credito di Robeco

Per la prima volta, dopo molto tempo, riteniamo che numerosi punti di svolta nei cicli del credito stiano influendo simultaneamente sui mercati. È in atto un trend di lungo periodo verso la deglobalizzazione, alimentato da un populismo diffuso, che provocherà un aumento dei dazi. Nel medio termine il vantaggio dato dal ricorso a manodopera a basso costo proveniente da altri paesi si ridurrà, provocando in sostanza un effetto negativo sui margini record di molte imprese eventualmente limitando l’ampiezza della loro base clienti a livello globale.

Un altro trend secolare è lo sviluppo di un contesto demografico meno favorevole dal punto di vista economico, che sta modificando le dinamiche consolidate di risparmio e di investimento. Infine, la brusca fine del superciclo del debito, avvenuta 12 anni fa, è il principale motivo alla base del comportamento prudente delle famiglie e della conseguente inefficacia della politica monetaria tradizionale.

Molteplici punti di svolta

A questi sviluppi di lungo periodo si sovrappongono diversi trend ciclici: si deve far fronte ad un rallentamento congiunturale della crescita, ai minicicli più frequenti sul fronte degli spread dovuti alla mancanza di liquidità e agli interventi delle banche centrali volti a risollevare un’inflazione sempre più debole.

A nostro avviso, ci troviamo ancora in una lenta fase ribassista, caratterizzata da brevi intensi rally, come accaduto durante il ciclo del 1997-2002. Nel frattempo, le banche centrali insistono sullo stesso rimedio per curare il mercato, con una ricetta in definitiva inefficace. Tuttavia, sappiamo che non è saggio combattere contro la Fed o la Bce.

Gran parte di questo settore ha maturato la convinzione che i rendimenti siano negativamente correlati con l’andamento degli asset, per cui rendimenti più elevati si accompagnano a spread più ridotti. Siamo ora passati a un regime in cui rendimenti più bassi sono associati a spread più ristretti, creando così una correlazione tra le asset class. In combinazione con la scarsa liquidità e la rapida reazione delle banche centrali ai movimenti dei mercati finanziari, si crea un sentiment a breve termine quasi bipolare. Tutto ciò richiede una certa agilità e la capacità di passare velocemente da un orientamento ribassista ad uno rialzista, e viceversa. In breve, bisogna essere astuti, veloci e fortunati. Non ci focalizziamo sul continuo cambio di esposizione al beta. Riteniamo invece, di trovarci nella fase del ciclo del credito in cui la selezione dei titoli, le allocazioni geografiche, i trend settoriali e l’enfasi sul valore a lungo termine hanno maggiori probabilità di essere redditizie.

Siamo più positivi nelle valutazioni. Gli spread rimangono più ampi rispetto ai minimi del 2018, ma i rendimenti sono troppo bassi per seguire l’attuale trend di riduzione degli spread. Preferiamo mantenere una posizione leggermente lunga sui prodotti con spread europei, ma non in un contesto globale.

Ritardare l’inevitabile

Le regioni del mondo interessate da invecchiamento demografico potrebbero subire un graduale processo di “giapponesizzazione”, con rendimenti su livelli inevitabilmente bassi. Dopo l’Europa, i prossimi potrebbero essere gli Stati Uniti. In un contesto di rendimenti contenuti, gli investitori sono costretti ad acquistare credito per incrementare il rendimento.

A nostro avviso, le banche centrali non sono infallibili, ma certamente hanno la capacità di sostenere le bolle degli asset ancora per un certo periodo di tempo. Serve una vera e propria recessione per ripristinare il quadro fondamentale, ma quanto più tempo ci metterà a manifestarsi, tanto peggiori saranno gli effetti. Per ora sembra che tutti siano consapevoli dei rischi, che però non sono (ancora) scontati nel mercato del credito.

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