Guerra commerciale, se gli Usa rallentano più della Cina l’accordo si allontana

A cura di Notz Stucki

Fin dalle prime battute della guerra commerciale il presidente Trump si è sempre posto nella posizione di chi ha il coltello dalla parte del manico, minacciando prima e imponendo poi i dazi, in modo da mettere alle strette la delegazione cinese. Egli ha sempre agito con la consapevolezza che grazie al suo stimolo fiscale l’economia americana sarebbe stata sempre più resiliente rispetto a quella cinese, la quale aveva cominciato a mostrare segni di rallentamento già prima della trade war.

Tuttavia, la situazione sta cambiando. Si osservi il grafico che rappresenta l’indice manifatturiero dei direttori degli acquisti sia per gli Usa (in rosso) che per la Cina (in blu). Tali indicatori sono inferiori a 50 punti, quindi in entrambi i casi la produzione industriale si trova in una fase di contrazione. Ma quello che balza all’occhio è che, per la prima volta dall’inizio dell’era Trump (ovvero da inizio 2017), gli Stati Uniti rallentano di più rispetto alla Cina, in quanto il Pmi manifatturiero Usa è inferiore a quello cinese di ben due punti (la linea rossa si trova al di sotto rispetto a quella blu). Proprio per questo motivo ora i cinesi potrebbero essere meno inclini a chiudere un accordo a ogni costo e per Trump risulterà sempre più difficile metterli alle strette. Inoltre, il fatto che l’andamento dell’economia Usa stia andando peggio di quella cinese significa che lo stimolo fiscale, la cui efficacia ormai è svanita, non è stato in grado di contrastare l’effetto negativo dovuto alla battaglia dei dazi. Ma in ogni caso, secondo le nostre analisi un valore dell’indice manifatturiero Usa inferiore a 50 punti negli ultimi decenni non è mai stato predittivo di una fase orso dei mercati, quindi, almeno per il momento, non vediamo ancora un imminente rischio di recessione americana, almeno finché i dati sui consumi continueranno ad essere tutto sommato positivi.

Invece, per quanto riguarda l’esito dei negoziati, potremmo dire che ancora non è dato sapersi. Da un lato, considerando che la trade war rappresenti il principale fattore di rischio per l’economia globale, potremmo assumere che le parti si ammorbidiranno, soprattutto se il rallentamento economico dovesse accentuarsi. Ma dall’altro, riteniamo che almeno nel breve periodo difficilmente si raggiungerà un accordo definitivo, pertanto nel lungo termine i dazi continueranno a creare problemi, soprattutto per quelle aziende che non hanno una fonte di ricavi sufficientemente diversificata e per quelle aree, l’Europa su tutte, la cui economia è fortemente dipendente dalle esportazioni. A proposito di Europa, a peggiorare la situazione ci ha pensato il verdetto del Wto (World Trade Organization) in merito al caso Airbus: i giudici hanno stimato in 7,5 miliardi di dollari le contromisure che gli Stati Uniti potranno adottare per il danno causato a Boeing e, pertanto, la Casa Bianca potrà imporre dazi sull’export della Ue, la cui economia è da tempo in forte rallentamento.

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