Mercati, ipotesi cambio di regime

Di seguito un’analisi a cura di Didier Saint-Georges, membro del comitato strategico di investimento di Carmignac.

Il 2020 è stato un anno senza precedenti sotto molti aspetti, e tra i vari interrogativi che ci ha lasciato, ci chiediamo se abbia innescato alcuni profondi cambiamenti di rotta nei principali driver macroeconomici di mercato, oppure se siamo all’inizio di un percorso che porterà a un vero e proprio cambiamento di regime per i mercati.

Come è noto, il modo in cui banche centrali e governi hanno risposto alla crisi è stato l’elemento indubbiamente più insolito.

In primo luogo, se si considera quella che potremmo definire “liquidità libera” – ovvero la nuova liquidità non assorbita dall’economia (la crescita dell’offerta di moneta al netto della crescita del PIL), quindi disponibile per essere investita in asset finanziari -, si può facilmente comprendere il motivo per cui i mercati azionari hanno riportato solide performance dopo marzo dell’anno scorso, per non parlare dei bitcoin e di altri asset più di moda. Naturalmente, a questo quadro di liquidità si sono aggiunti e si aggiungeranno i diversi pacchetti di stimolo fiscale, nonché le speranze di una riapertura dell’economia quest’anno, tutti elementi che hanno ovviamente reso gli investitori molto ottimisti. 

Questo è quello che è successo in tutte le economie sviluppate, ma la situazione negli Stati Uniti è decisamente più eclatante. Questa volta, l’esplosione dell’offerta di denaro non è stata altrettanto elevata in Europa o in Giappone. Naturalmente, se a questo si aggiunge che la campagna vaccinale negli Stati Uniti procede a un ritmo più sostenuto, allora è probabile che le prospettive oltreoceano siano molto più solide. Quindi, per esaminare le possibili conseguenze del “surriscaldamento” della liquidità, è necessario osservare attentamente l’evoluzione della situazione negli Stati Uniti.

All’interno di questo scenario molto “bullish” in cui, per il momento, sembra che i mercati credano molto, è chiaro che la prima possibile insidia potrebbe essere rappresentata da sviluppi deludenti dell’economia, fattore che non è da escludere. Lo shock economico lascerà profonde cicatrici in diversi settori, nonostante l’introduzione di stimoli fiscali. Il mercato del lavoro è molto fragile, c’è un nuovo incremento delle disuguaglianze, e un ritardo nella ripresa economica farà crescere sicuramente il numero di default di piccole imprese. Per inciso, a differenza di quanto registrato nel 2016 dopo la vittoria alle presidenziali americane di Donald Trump, oggi vediamo un calo della fiducia delle piccole e medie imprese statunitensi, perché queste società ritengono che il piano Biden non porterà a un aumento della domanda in modo sostenibile. Una maggiore regolamentazione e un aumento della pressione fiscale sono indubbiamente fonte di preoccupazione. E in effetti la sostenibilità della crescita economica potrebbe essere messa in discussione quando viene supportata dalla spesa pubblica, finanziata dal debito e dalle imposte. I timori legati a questo possibile scenario potrebbero iniziare a manifestarsi più avanti nel corso dell’anno, quando il mercato comincerà a orientarsi verso un orizzonte temporale più lungo. Per il momento gli investitori sono concentrati sul 2021, che sarà probabilmente un anno molto intenso per gli Stati Uniti.

Inoltre, l’inflazione è uno dei temi più diffusi e dibattuti in questi giorni. Anche in questo caso notiamo che il tema riguarda soprattutto gli Stati Uniti. Le aspettative d’inflazione rimangono molto contenute in Europa, anche includendo il forte effetto base che influenzerà le stime dell’inflazione del 2021. Ma per noi questo resta sicuramente un tema da monitorare con attenzione negli Stati Uniti.

Ricordiamoci che tutta la liquidità immessa degli ultimi 10 anni non era veramente “creazione” di denaro, oppure era creazione di denaro con “velocità zero”, quindi non ha mai avuto delle caratteristiche inflazionistiche, perché il denaro veniva dalle banche centrali e confluiva nei bilanci delle banche commerciali per poi rientrare nella banca centrale sotto forma di riserve in eccesso. Questa volta però la situazione è diversa: il denaro proviene dai governi, fattore che ha portato a enormi deficit di bilancio, ed è destinato a sostenere i consumi. Le banche centrali stanno continuando a implementare la strategia del QE, ma soprattutto come supporto per i governi. Questo è il motivo per cui l’offerta effettiva di liquidità è aumentata nel 2020, mentre nel decennio precedente ha fatto fatica a registrare un incremento. Anche se il cambiamento nella fornitura di denaro si normalizzerà rapidamente quest’anno a causa degli effetti di base, questo è un ambito che sta assistendo a uno scenario completamente nuovo e potrebbe essere la fonte di un cambiamento di regime, che potrebbe materializzarsi rapidamente dato che gran parte di questa liquidità è concentrata nei risparmi dei consumatori, che probabilmente, come minimo, si normalizzeranno solo in parte quando ci sarà una riapertura dell’attività economica, con le banche che stanno iniziando ad allentare le loro condizioni di credito, in modo che la velocità di diffusione della liquidità possa aumentare. Inoltre, negli Stati Uniti sono attesi altri ingenti pacchetti di stimolo, ed è proprio in questo mercato che l’inflazione a medio termine potrebbe tornare a salire. L’inflazione è infatti correlata all’offerta di denaro e ha molto spazio per registrare performance al rialzo. Inoltre il programma della Yellen sui salari minimi porterà chiaramente a un incremento del costo del lavoro nel tempo, fattore che potrebbe poi rappresentare una fonte di inflazione guidata dai costi.

I prezzi delle obbligazioni sono a rischio, e questo chiaramente comporta un rischio anche per i mercati azionari, o almeno per qualsiasi titolo azionario che abbia un comportamento “bond proxy”. Le azioni dovranno essere sostenute da una crescita degli utili tale da consentire di resistere all’aumento dei tassi. Quest’anno potremmo assistere a una situazione di questo tipo qualora si verificasse la ripresa economica attesa, giustificando anche la performance dei settori ciclici e delle banche. Ma allora, il principale interrogativo è: “quanto può durare questa ripresa?”

I pacchetti a supporto della ripresa sono ingenti, ma rappresentano anche degli ostacoli per la crescita economica sostenibile. Per anni la crescita potenziale ha intrapreso una traiettoria discendente a causa dei trend demografici, della regolamentazione, dell’indebitamento e della mancanza di investimenti. Questi trend di lungo periodo non spariranno improvvisamente e potrebbe non passare molto tempo prima che le imposte sul reddito e quelle corporate ricomincino ad aumentare, fattore che non aiuterà né gli investimenti né i consumi. Pertanto uno scenario a medio termine caratterizzato da una crescita economica lenta, ma con una certa inflazione trainata dai costi, resta una possibilità concreta. Si avrebbe quindi una certa “stagflazione”, che rappresenterebbe una sfida per i mercati obbligazioni e azionari.

Quindi bisogna ammettere che oggi c’è una possibilità concreta di un cambiamento di regime per i mercati, guidato da tassi d’interesse più alti, a loro volta trainati da una maggiore inflazione. In questo contesto, quali sono le ipotesi ragionevolmente più affidabili su cui basare la costruzione di un portafoglio?

Probabilmente gran parte di questo fenomeno si svolgerà soprattutto negli Stati Uniti. Pertanto la nostra strategia di risk allocation si concentra principalmente su questo mercato. Se i tassi negli Stati Uniti dovessero davvero salire, è probabile che i tassi europei faranno lo stesso. Questo è un altro elemento che monitoriamo con attenzione.

In secondo luogo dobbiamo considerare la Cina, con i suoi problemi strutturali, anche se per il momento sembra essere l’economia che sta reagendo meglio alla pandemia. Nel 2020, infatti, il paese ha registrato buone performance, continuando a esportare i suoi prodotti negli Stati Uniti e in Europa, che dal canto loro stavano sovvenzionando la domanda dei consumatori. Questo ha permesso a Pechino di non gonfiare il proprio deficit di bilancio, e quindi di mantenere maggiore flessibilità. Di conseguenza, nel breve termine, la crescita beneficerà della riapertura dell’economia, ma il rapido ritmo della ripresa dovrebbe presto svanire, quindi non vediamo un eccessivo rischio di surriscaldamento in Cina, tanto più che la PBoC ha altre armi a disposizione per tagliare ulteriormente i tassi, qualora fosse necessario. Pertanto la Cina dovrebbe essere un mercato piuttosto sicuro sia per le azioni sia per il reddito fisso.

In terzo luogo, l’Europa ci offrirà un quadro di crescita modesto, ma generalmente stabile. La nomina di Draghi come nuovo premier italiano si basa anche sui progressi fatti l’anno scorso verso una maggiore integrazione dell’Unione Europea. Quindi non dovremmo essere troppo ambiziosi sui rendimenti, soprattutto sul fronte del reddito fisso, ma anche il rischio dovrebbe essere moderato, con la BCE molto presente e senza pressioni inflazionistiche. Questo dovrebbe continuare a offrire opportunità per generare alpha, in particolare nell’universo del credito.

Infine, un promemoria sull’importanza della crescita degli utili per i titoli azionari in un contesto di inflazione crescente. Sicuramente alcune aziende, in particolare nell’universo tecnologico, hanno riportato performance strabilianti, perché l’ingente quantità di liquidità ha favorito investimenti speculativi. Stiamo parlando di vere aziende growth, non di scommesse speculative. Quello che le differenzia è proprio la visibilità sulla loro forte crescita degli utili nel medio periodo, un fattore che le differenzia anche dalle aziende bond proxy, e quindi le rende meno sensibili ai tassi di interesse. Alcune aziende dell’universo tecnologico godono di un pricing power è abbastanza forte, elemento che potrebbe anche essere considerato un vantaggio in caso di aumento dell’inflazione. Quindi, per valutare se i titoli growth sono economici o costosi rispetto ai titoli value, la cosa giusta da fare è ovviamente non analizzare le stime degli utili dell’anno scorso o di quest’anno, ma piuttosto le stime degli utili a medio termine. Da quest’analisi si evince che sui multipli prezzo/utili a medio termine, storicamente, i titoli growth avevano all’incirca le stesse valutazioni dei titoli value, poi sono diventati più costosi a partire dal 2017, fino a raggiungere il picco dello scorso autunno. Da allora, dato che i titoli value hanno sovraperformato, le valutazioni a medio termine dei titoli growth si sono abbassate ai livelli dei titoli value. Quindi riteniamo che i titoli growth siamo altamente investibili e possano anche continuare ad essere forti driver di performance se si riesce a generare alpha aggiuntivo attraverso un’attenta selezione dei titoli.

In conclusione, i mercati sono oggi tecnicamente fragili, quindi abbiamo ridotto il rischio di mercato nella maggior parte dei nostri fondi. Ad oggi, l’esposizione azionaria di Carmignac Patrimoine, Carmignac Portfolio Patrimoine Europe e Carmignac Portolio Emerging Patrimoine è rispettivamente del 37%, 27% e 32%. Naturalmente, questi livelli continueranno ad essere gestiti in modo attivo.

Dal punto di vista strategico, continuiamo a privilegiare un approccio barbell, cioè “a bilanciere”, posizionandoci per un eventuale inizio di un cambiamento di regime tramite una duration modificata pari a zero o negativa sul debito pubblico statunitense, partecipazioni molto selettive nell’universo del credito, contando soprattutto sulla generazione di alpha e sugli attori della ripresa economica sul fronte azionario. A fronte di tutto questo, continuiamo a mantenere un’ampia posizione in titoli con una elevata visibilità sulla crescita degli utili, alcuni dei quali si trovano oggi in Cina.

 

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