Dallo stretto captive all'oceano aperto

di Massimo Arrighi, AT Kearney

La crisi americana dei mutui subprime, emersa durante l’estate 2007, ha poi contribuito a rafforzare il clima generale d’incertezza, tanto da far ricomparire flussi positivi su prodotti monetari e più importanti disinvestimenti a favore di liquidità a breve. In questo contesto non tutti i gestori di risparmio hanno patito le stesse sofferenze. Infatti, sulla più parte dei gestori italiani, soprattutto quelli più grandi e generalisti, si sono abbattuti flussi negativi molto consistenti (anche includendo i roundtrip, ndr).

Qualche positiva eccezione l’hanno fatta alcuni operatori fortemente specializzati, ad esempio negli hedge fund. Viceversa gli asset manager esteri operanti nel nostro paese hanno potuto registrare apporti positivi di capitali molto rilevanti e diffusi. Tali flussi hanno inizialmente riguardato aree d’investimento specialistiche e con rapporto rischio-rendimento a volte anche piuttosto elevato, come le materie prime, le fonti energetiche alternative e rinnovabili e i singoli paesi emergenti a più forte crescita. 

In seguito i flussi positivi a favore dei gestori esteri si sono orientati anche verso asset class più core con prospettive e promesse di rendimento stabili e positive nel tempo (come i prodotti absolute-total return e alcune tipologie di bilanciati globali).


Si tratta della solita esterofilia degli italiani, che questa volta ha contagiato anche il mondo della finanza personale? Oppure ci troviamo di fronte a un più serio e profondo fenomeno di cambiamento delle abitudini dei risparmiatori, il quale richiede un’analisi approfondita delle cause e forse anche un deciso ripensamento delle strategie sin qui adottate?

Sicuramente nel nostro mercato domestico ci sono aspetti fiscali e burocratici che favoriscono i fondi esteri (tassazione sui rendimenti effettivamente realizzati rispetto a quella sui rendimenti maturati). Da tempo si discute anche in sede governativa su questi temi e se ne stanno studiando i possibili interventi correttivi. Non credo però che ciò basterebbe a rimediare la situazione.

Esistono cause più profonde che vanno analizzate e comprese.
E [p]Massimo Arrighi[/p], associate director di AT Kearney, lo ha fatto sul numero di giugno di [a]ADVISOR[/a].

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