Investimenti: azioni indiane sotto i riflettori

Con la catastrofe umanitaria in corso (oltre 2 milioni di contagi a settimana) nel mercato si è registrata una crescente preoccupazione di un downgrade dell’India al di sotto del suo status cruciale di investment grade. Tuttavia, la reazione del mercato è stata finora estremamente contenuta. Ecco di seguito la view e l’outlook di Marcus Weston, Fixed Income Senior Portfolio Manager e Aravindan Jegannathan, CFA, Senior Equity Analyst, di JK Capital Management Ltd., società parte del gruppo La Française.

Nel giugno 2020 il rating sovrano dell’India fu colpito da un doppio downgrade. In primo luogo, Moody’s abbassò il rating da Baa2 a Baa3, il che non era di per sé una sorpresa, dato che per i tre anni precedenti l’agenzia aveva mantenuto il rating indiano al di sopra del livello di S&P e Fitch. Ma soprattutto l’outlook venne abbassato da stabile a negativo. Due settimane dopo, Fitch abbassò l’outlook del proprio rating BBB- sull’India, anche in questo caso da stabile a negativo. Queste scelte, la scorsa estate, esposero effettivamente l’India e la maggior parte dei principali emittenti di obbligazioni societarie del Paese, portando il debito sovrano indiano sull’orlo di un potenziale downgrade a junk – qualcosa che non si vedeva dal 2007.

Poiché la pandemia è stata uno dei catalizzatori delle decisioni delle agenzie di rating a giugno 2020, nel mercato si è comprensibilmente registrata una crescente preoccupazione che il disastroso aumento dei casi di COVID nel subcontinente nelle ultime settimane possa provocare il downgrade dell’India al di sotto del suo status cruciale di investment grade. Certamente il disastro umanitario in corso, con un aumento esponenziale sia dei casi che delle vittime, sta mettendo a dura prova i servizi pubblici, mentre il social distancing inadeguato, insieme all’emergere di nuovi ceppi molto virulenti, provocherà quasi certamente una spinta verso nuovi aggressivi lockdown per contenere la diffusione del virus.

Il Paese è infatti alle prese con un aumento senza precedenti dei casi di Covid: solo nell’ultima settimana sono stati registrati 2,3 milioni di nuovi contagi. Grandi manifestazioni politiche in cinque Stati indiani, tenutesi in corrispondenza delle elezioni, hanno senza dubbio contribuito alla nuova esplosione del virus. Lo stesso si può dire per il Kumbh Mela, importante raduno religioso hindu che ha luogo ogni 12 anni e viene descritto come uno dei maggiori eventi di massa del pianeta.

In questo contesto spaventoso, ci si aspetterebbe che i mercati indiani siano in caduta libera. Tuttavia, la reazione del mercato è stata finora estremamente contenuta. Dall’inizio di marzo, l’indice di riferimento indiano SENSEX è sceso appena sotto il 3% e, al momento di scrivere, rimane in territorio positivo per l’anno. Anche l’indice Bloomberg Barclays USD Credit India è positivo per l’anno: una prestazione sorprendente, considerando il movimento dei rendimenti dei Treasury sottostanti registrato da gennaio ad oggi. In altre parole ci sono pochissimi segni di nervosismo da parte del mercato, per non dire del panico, sia per quanto riguarda le azioni che per le obbligazioni indiane.

Naturalmente, per questa resilienza sorprendente vi sono spiegazioni strutturali. Per molti anni l’India ha goduto della cosiddetta “caccia alla diversificazione”, poiché gli investitori stranieri che volevano esporsi all’Asia sono stati costretti a sovrappesare i titoli indiani per compensare il predominio della Cina sui mercati panasiatici. Dal punto di vista del mercato obbligazionario, ciò è senza dubbio giustificato dalla mancanza di nuove emissioni indiane. Nel frattempo, la recente volatilità di alcuni segmenti del mercato obbligazionario cinese, come la debolezza delle obbligazioni delle imprese statali e di quelle degli sviluppatori immobiliari, ha aumentato ulteriormente l’attrattiva dell’India come contrappeso regionale. Tuttavia, la domanda chiave è relativa alla compiacenza del mercato nel trascurare i crescenti rischi dell’economia indiana, visto che la domanda di titoli indiani si mantiene forte.

In passato l’India ha avuto la sua buona quota di spaventi sui mercati. Nel 2018, i default a sorpresa di IL&FS Investment e Dewan Housing Finance innescarono un crollo nel settore delle società finanziarie non bancarie (NBFC). È forse per questo motivo che vi sono state preoccupazioni sulla vulnerabilità del settore delle NBFC se assistessimo a un massiccio calo dell’attività a seguito dell’ultimo picco dei contagi. Tuttavia, crediamo che la situazione attuale sia molto diversa dal 2018.

Alla fine del 2018, all’indomani del fiasco di IL&FS, le NBFC lottarono per ottenere finanziamenti a causa del sentiment generale di mercato prevalente. Al tempo della debacle di IL&FS, i principali fornitori di liquidità alle NBFC erano i fondi comuni, che permettevano loro di rinnovare il proprio debito. Poiché anche i principali fondi comuni furono colpiti dal fallimento di IL&FS, i finanziamenti alle NBFC dai fondi comuni si sono prosciugati, scatenando il panico tra le NBFC, i loro azionisti e i loro obbligazionisti.

Oggi la situazione è molto diversa. Sia i fondi comuni che le NBFC hanno imparato una lezione dalla crisi di IL&FS. Mentre i fondi comuni hanno sistematicamente ridotto la propria esposizione al settore delle NBFC, adottando una grande selettività sui nomi con buoni asset sottostanti, le NBFC dal canto loro hanno diversificato le proprie fonti di finanziamento, anzitutto attraverso la cartolarizzazione dei propri asset. Le NBFC si sono inoltre rese conto che non era sostenibile prendere prestiti a breve termine per approfittare dei tassi bassi e contemporaneamente concedere prestiti a lungo termine. La quota di obbligazioni non convertibili e commercial papers, che nel 2018 rappresentavano il 54% del finanziamento totale delle NBFC, nel 2020 è scesa al 34%. Pur pagando un prezzo pesante, il settore si è ora evoluto verso un modello di business più sostenibile con un allineamento della duration delle attività e delle passività adeguato. Anche le aspettative di crescita si sono assottigliate su tassi a una cifra tra il 5% e il 10% alte, in calo rispetto all’alto tasso, fra il 15% e il 19%, che si registrava prima della crisi di IL&FS. Gli investitori e le banche hanno distinto buoni e cattivi in base alla qualità degli asset sottostanti, il mix di passività e il rating creditizio. Da una prospettiva di portafoglio, vediamo una forte resilienza nella nostra esposizione NBFC, sia per quanto riguarda i nostri fondi azionari che in quelli a reddito fisso.

Non stiamo minimizzando il rischio di mercato e crediamo che il mercato indiano, sia per le azioni che per le obbligazioni, potrebbe essere esposto a una certa volatilità nel breve termine, almeno fin a quando l’ultimo picco della pandemia non tornerà sotto controllo. Tuttavia, nel contesto di una visione panasiatica, continuiamo a credere che vi siano benefici nel mantenersi esposti alla terza economia asiatica per motivi di diversificazione, a condizione che le posizioni sui nomi specifici siano gestite e monitorate con attenzione.

Per quanto riguarda il rating sovrano dell’India, questa settimana Fitch ha confermato il rating BBB- investment grade, seguendo la scelta simile di Moody’s di due settimane fa. Sebbene l’outlook di entrambe le agenzie rimanga negativo, ciò ha rimosso un potenziale rischio a breve termine. Nella motivazione, Fitch riconosce il recente picco di casi di COVID ma non ritiene che esso possa far deragliare la ripresa economica del Paese.  Resta da vedere se Fitch e le valutazioni del mercato sono compiacenti nel guardare oltre i venti contrari a breve termine per concentrarsi invece sulla crescita a medio termine. Le prossime settimane saranno cruciali per valutare il reale impatto economico della catastrofe umanitaria che va in scena davanti ai nostri occhi.

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