Quando l'economia di mercato si sposa con il 'comunismo'

 

Democrazia? No, grazie. Così  risponde il cittadino cinese a chi gli domanda se sente il bisogno di maggior democrazia nel proprio paese.
 
“La Cina è differente dall’Europa e da qualsiasi altro paese occidentale perché non ha vissuto (o subito ndr) 2.000 anni di cultura cristiano-giudaica” spiega Adriano Màdaro, giornalista, scrittore e uno dei massimi esperti mondiali della Cina intervenuto al convegno Asian Century organizzato da Weltika SA. 

“I Cinesi godono di una liberta molto superiore di quanto possono pensare gli occidentali – spiega Màdaro che negli ultimi ventisette anni, ha compiuto 120 viaggi con lunghi soggiorni e percorrendo anche le regioni più remote, dalla Mongolia al Tibet, dalla Manciuria all’isola di Hainan – Il cinese non chiede democrazia perché il modello socio-politco in cui vive di fatto ha poco da invidiare alle cosiddette economie sviluppate.”
 
In effetti l’incedibile ascesa economica della Cina è la dimostrazione vivente di come possano coesistere un’economia di mercato e un sistema totalitario “i cinesi comprano abiti griffati, automobili di lusso e viaggiano per vedere i posti più belli del mondo ma non vogliono diventare occidentali. Anzi considero inutile e rischioso questo continuo tentativo di modernizzazione della Cina ad opera dei paesi dell’ovest”.
 
C’è inoltre da considerare il forte senso di nazionalismo presente in tutti i  cinesi, il che spesso si traduce in uno sciovinismo esasperato ma che trova conferma nella stessa storia cinese “Quando in Europa si viveva e lavorava con mezzi ancora antidiluviani, i cinesi conoscevano già da 2.000 anni la seta pregiata e scrivevano sulla carta che in Europa arriverà solo tramite il Medio Oriente”.
 
Il cinese è un’edonista così come lo era Mao ma rifiuta e condanna (soprattutto l’elite culturale) la corruzione dilagante che ha accompagnato il boom economico.


 
Chi sono gli amici della Cina?
 
I cinesi e la Cina intera  si stanno riprendendo quel ruolo di stato egemone che hanno conservato fino ai primi anni dell’800.

Per questo motivo chiedersi se conviene o meno stringere rapporti commerciali e diplomatici con questo grande paese è pressoché inutile. “Oggi i cinesi inviano ogni anno 70.000 studenti in Gran Bretagna, 50.000 in Germania e 30.000 in Spagna. Questi ragazzi imparano e studiano nelle nostre università e poi tornano in Cina come avvocati, dottori, manager. Nessuno può resistere a questi numeri e inoltre, questo interscambio culturale aiutano i rapporti commerciali ed economici con il paese in cui hanno vissuto e studiato”.
 
I rapporti diplomatici dei cinesi con il resto del mondo hanno subito una rapida accelerazione negli ultimi anni. Il Giappone oggi de-localizza parte della propria produzione in Cina. Con la Federazione Russa, invece, il Governo di Pechino ha stretto importanti rapporti di fornitura di gas naturale e anche l’India (che ha quasi lo stesso numero di abitanti della Cina) ha ottimi rapporti con Pechino.
 
Màdaro spiega che oggi un’alleanza con la Cina è fondamentale, anche solo per la capacità dei cinesi di dialogare con il mondo arabo, “I cinesi oggi sono i primi clienti dell’Arabia Saudita nei prodotti petroliferi surclassando gli americani”. Più difficile si è dimostrato il rapporto con Francia e Regno Unito: nel primo caso le parole dure del premier Nicolas Sarkozy sui fatti del Tibet ha creato un piccolo scandalo diplomatico che si è concluso con una lettera di scuse inviate dall’Eliseo a Pechino, “quando i cinesi si sono sentiti attaccati dalla stampa francese e dal suo leader, subito la gente comune ha deciso di boicottare i prodotti francesi e le grandi catene di distribuzione come Carrefour e Lafayette”.
 
Questo dimostra ancora una volta la libertà di pensiero e la compattezza di questa nazione, che fa cerchio intorno a quello che reputa giusto o sbagliato. 
 
La Cina resta comunque un paese delle grandi contraddizioni che va capito prima di essere giudicato, quando il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon (nella foto) arrivò in Cina nel 1972 venne accolto all’aeroporto di Beijing da alcuni striscioni che inneggiavano la grandezza degli Stati Uniti e altri che invocavano la morte dell’imperialismo statunitense. Una volta ricevuto a Palazzo, Richard Nixon chiese spiegazioni riguardo quegli slogan poco invitanti, Mao (Mao Zedong) dal canto suo rispose che esiste – una voce del Governo e una del popolo – e quegli striscioni ne erano la prova.
  

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