Luci e ombre del real estate italiano

Mario Draghi è diventato più famoso di una pop-star. Oramai i suoi interventi sono citati in ogni convegno, così come nei discorsi tra amici. Insomma se l’Italia va avanti per mode, pensieri e parole, oggi sulla bocca di tutti riecheggia il pensiero del Governatore della [a]Bankitalia[/a] che durante l’Assemblea di Palazzo Koch del 30 maggio scorso disse che “la ricchezza si crea investendo, innovando, rischiando”.

E anche l’industria dei fondi immobiliari non poteva sottrarsi a tale citazione. E’ stato un altro Mario, questa volta Breglia, a citare l’intervento del governatore della Banca d’Italia durante il consueto appuntamento milanese di [s]Scenari Immobiliari[/s]. E il presidente dell’istituto di ricerche indipendente ha voluto dare una scossa agli operatori presenti sala, sottolineando che anche l’industria del real estate non può esimersi dall’innovare, dall’investire e dal rischiare.

Soprattutto oggi che il mercato è cresciuto notevolmente. «I fondi immobiliari italiani hanno superato indenni sia la crisi dei mutui subprime sia l’esodo del risparmio dai fondi comuni» precisa Breglia. «Il 2007 si è chiuso con un altro record per i fondi immobiliari e il 2008 conferma l’ottimo momento di questo strumento». Infatti il numero dei fondi operativi è passato dai 7 del 2001 ai 186 di fine 2007, con una previsione di circa 220 a fine anno. Se in otto anni si è passati da 7 fondi operativi a 220 possiamo considerarlo un bene?

Per alcuni operatori la risposta è indubbiamente si, per altri invece i sospetti sono leciti. E’ il caso di Giovanni Maria Paviera, amministratore delegato di Generali Immobiliare Italia che domanda: «Non c’è un eccesso di offerta?» ed esprime la perplessità che tale surplus non faccia così bene all’industria dei fondi immobiliari. Anche perché se si va a notare come è cresciuto in questi otto anni il patrimonio si nota che è passato da 1,4 del 2001 ai 35 miliardi del 2008, con lo sviluppo più significativo nell’ultimo triennio. Viene però da chiedersi come mai questo ampliamento dell’offerta sia stato accompagnato da una crescita consistente del numero di società che, hanno istituito anche un solo fondo riservati. Verrebbe da pensare che sia stato fatto soltanto per godere di una fiscalità più vantaggiosa.

E’ di questo che ha bisogno l’industria dei fondi immobiliari? E’ questo il sinonimo di crescita? Non la pensa così Marco Plazzotta, a.d. di Ras Immobiliare che riprende la tesi di Paviera e aggiunge. «Prima della nascita dell’industria immobiliare vi erano alcuni grandi player detentori di grandi portafogli, oggi invece ci troviamo di fronte a un nanismo di patrimoni». Di certo l’intenzione non è quella di attaccare piccole e società che hanno contribuito alla crescita del paese e a portare trasparenza nel settore immobiliare. Di certo la crescita dei fondi riservati può letta in questo modo. Portare all’interno di un recinto regolamentato delle operazioni che prima utilizzavano altri strumenti. Ma l’industria deve fare un salto in più.

Ben vengano allora le innovazioni di prodotto, le sperimentazioni. L’importante che siano accompagnate da approcci valutativi completi in cui non ci si soffermi soltanto sull’analisi degli immobili, ma si indaghi anche l’attività del sottostante. Lo stesso dovrebbe accadere per i nuovi progetti. Certamente la firma di un architetto prestigioso può essere un imprinting, ma non si può puntare solo su quello. Il caso Risanamento insegna.

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