Crisi, scene di un anno

Il livello eccezionalmente basso dei tassi di interesse negli anni scorsi aveva contribuito alla crescita eccessiva della liquidità, al mispricing dei diversi strumenti finanziari, ad allocare il rischio in maniera inefficiente.
Le banche centrali dovrebbero considerare questi effetti al momento di fissare i tassi di riferimento della politica monetaria. Nel nuovo contesto finanziario, la politica monetaria ha un legame sempre più stretto con la stabilità finanziaria, che le banche centrali non possono più trascurare.
Le modalità con cui la politica monetaria viene attuata hanno consentito di rispondere alla crisi con tempestività e in modo innovativo. Fin dall’insorgere della crisi, le banche centrali hanno fornito alle banche la liquidità necessaria ad operare; hanno rivisto le modalità dei loro interventi per aumentarne la flessibilità, intensificando il coordinamento internazionale.
Sono emerse tendenze comuni: le banche centrali hanno ampliato il numero delle controparti ammesse alle loro operazioni; hanno aumentato la frequenza degli interventi e la durata delle operazioni di rifinanziamento; hanno esteso la gamma dei titoli ammessi a garanzia al fine di rendere più liquidi i bilanci delle banche. Quest’ultimo obiettivo, in particolare, è stato perseguito attraverso gli schemi di swap di titoli recentemente avviati dalla Federal Reserve e dalla Bank of England.
Le misure innovative volte ad allentare le tensioni sul mercato monetario del dollaro includono il recente accordo tra la Federal Reserve, la BCE e la Banca Nazionale Svizzera che ha reso disponibili alle controparti dell’Eurosistema e a quelle della banca centrale elvetica finanziamenti denominati in dollari.
Le banche centrali sono generalmente riuscite a mantenere i tassi a brevissimo termine in linea con i valori di riferimento, pur in presenza di un forte aumento della volatilità. Esse non hanno potuto però attenuare le tensioni sui mercati monetari, dove gli scarti tra i tassi sui prestiti non garantiti e quelli garantiti sono rimasti ampi e variabili.
L’allungamento della scadenza delle operazioni di rifinanziamento ha tuttavia contenuto gli effetti sistemici delle tensioni nell’offerta di liquidità interbancaria. Le banche centrali non hanno potuto eliminare le cause di tali tensioni – e probabilmente ciò non rientra tra i loro compiti.
Un ulteriore aspetto che richiederà una attenta valutazione da parte delle banche centrali è l’azzardo morale. Gli interventi in favore di singoli intermediari con rilevanza sistemica comportano un costo, in quanto potrebbero incoraggiare l’assunzione di rischio da parte di altre banche. Per contenere l’onere regolamentare che può associarsi all’estensione del safety net garantito dalle banche centrali, il costo dei salvataggi deve ricadere quanto più possibile sugli azionisti e sui massimi dirigenti delle banche in crisi. La lezione che, in ultima analisi, sembra emergere dalla crisi è che una maggiore disciplina da parte degli operatori di mercato è l’elemento su cui si fonda la solidità del sistema finanziario.

Ancora una volta Mario Draghi (11 giugno 2008, Foreign Bankers’ Association) ha il pregio di parlare chiaro.
Proprio mentre crescono i timori di una nuova ondata di svalutazioni di asset da parte delle grandi banche mondiali, a un anno di distanza dallo scoppio della crisi il Governatore di Banca d’Italia sottolinea quanto è stato fatto e quanto ancora resta da fare.
L’operato delle banche centrali ha contenuto gli effetti della crisi di liquidità, ma non c’è dubbio che la bufera “deve” per sua natura lasciare sul campo morti e feriti. A pagare, dice Draghi, devono essere anzitutto i banchieri incapaci o quelli “furbetti” che hanno pensato di gonfiare gli attivi – e le proprie stock option – con una dissennata politica del credito facile. Sparare sui banchieri, come fa il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, è un esercizio demagogico: quel che conta sono le regole.

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