Mercati: il New Deal americano potrebbe innescare la volatilità

Sei trilioni di dollari, a tanto ammontano i piani di aiuto e investimento dell’am­ministrazione americana. Quali ripercussioni avranno sulla crescita economi­ca, sull’inflazione e sui tassi? E come verrà finanziato il “New Deal 2.0”? Paolo Mauri Brusa, gestore del team Multi Asset Italia di GAM (Italia) SGR, prova di seguito a dare delle risposte a queste importanti domande.

Il Presidente Biden la scorsa settimana ha presen­tato al congresso due piani di aiuti, in aggiunta al pacchetto da 1900 miliardi dell’American Rescue Plan approvato in marzo. I nuovi programmi sono l’American Jobs Plan (2300 miliardi) e l’American Families Plan (1800 miliardi). Con il primo l’Ammi­nistrazione americana punta a rilanciare economia e occupazione, in un’America messa a dura prova da una pandemia che ha acuito ancora di più le diseguaglianze sociali preesistenti.

Un gigantesco investimento infrastrutturale che interesserà strade, ferrovie, aeroporti, rete elettrica, ma anche amplia­mento della banda larga nelle zone rurali, sviluppo delle città intelligenti e della mobilità elettrica. E poi aumento del salario minimo, agevolazioni fiscali per la costruzione e la ristrutturazione di alloggi di edilizia popolare, oltre a sussidi alle piccole imprese per investimenti e nuove assunzioni. Il Families Plan invece si concentrerà su istruzione e famiglia e prevede sia sgravi fiscali che sussidi veri e propri. Il programma prevede aiuti per 5 milioni di famiglie, riduzione dei costi sanitari per l’infanzia, aiuti da 10 mila dollari per i debiti scolastici (lo stock relativo alle spese per college oggi vale 1,7 trilioni di dollari, più alto di quello relativo all’acquisto di autovetture e delle carte di credito). Un grande progetto per dare nuovo slancio all’economia e contrastare l’ascesa cinese nel campo tecnologico.

A differenza dei due pacchetti precedenti, però, il “New Deal” di Biden non verrà finanziato solo con emissione di nuovo debito, ma sarà accompagnato da una maggior pressione fiscale, di cui si dovrà fare carico la parte più ricca del Paese.

Le proposte che verranno discusse dal Congresso prevendono l’aumento dell’aliquota massima per le persone fisiche dal 37% al 39,6%, il raddoppio del capital gain per chi guadagna più di 1 milione di dollari all’anno, l’incremento della Corporate Tax dal 21% al 28%.

Una manovra così articolata avrà certamente un effetto molto positivo sull’economia nel lungo termine, con ricadute “sostenibili” sul già provato bilancio statale. Sono da valutare però gli effetti sui mercati finanziari e sulle aspettative d’inflazione.

Se è vero che le recenti trimestrali stanno dipingendo un quadro più che roseo per la Corporate America, con una crescita degli utili roboante e programmi di buyback corposi (uno su tutti quello da 90 miliardi di Apple), gli effetti di un taglio lineare degli utili (deter­minato dall’aumento dell’aliquota fiscale), combi­nato magari ad un ulteriore rialzo dei rendimenti obbligazionari, potrebbero determinare correzioni più profonde di quelle viste in questi primi mesi dell’anno.

Le pressioni inflazionistiche, inoltre, si stanno facendo sempre più evidenti a causa dell’au­mento dei prezzi delle materie prime e di “ingorghi” nelle catene logistiche, tanto che molte aziende come Nestlé hanno già annunciato imminenti au­menti dei prezzi.

È indubbio, infatti, che un pacchetto così corposo d’investimenti infrastrutturali, benché distribuito su più anni, andrà ad aggiungere ulteriore pressione sui prezzi. La stessa Yellen, in un interven­to che ha spiazzato un po’ tutti questa settimana, ha dichiarato che i tassi probabilmente saliranno in tandem con l’aumento della spesa pubblica.

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