Tutte le evoluzioni del risparmio gestito

Ma anche dall’emergere e dal consolidarsi di altri distributori puri. L’importante è capire se queste evoluzioni possano avvenire sotto la spinta delle forze del mercato, oppure se debbano essere guidate da interventi del regolatore.

Tra le soluzioni più accreditate per salvare l’industria, vi è la separazione anche proprietaria delle società di gestione del risparmio dalla distribuzione. Il presupposto è che il distributore potrebbe avere l’incentivo a non offrire i migliori prodotti disponibili sul mercato, privilegiando quelli dalla propria Sgr, nel caso ne abbia il controllo.

Questa è però la situazione italiana, il cui risparmio gestito è controllato per il 90 per cento dalle banche mediante una integrazione verticale tra distribuzione e produzione. Ciò ha consentito alle banche di mantenere alti margini nella distribuzione limitando al tempo stesso gli investimenti per lo sviluppo delle Sgr.

Qualsiasi soluzione implica quindi o una contrazione dei margini della distribuzione o l’emergere di nuovi operatori specializzati. In ogni caso deve confrontarsi con le implicazioni per la redditività del sistema bancario.

Per decidere dove andare, occorre capire da dove partiamo, come sta evolvendo l’industria e quali siano le alternative.

LA SITUAZIONE DI PARTENZA

Il risparmio gestito italiano differisce dalla media europea per la sua composizione: i fondi monetari e obbligazionari rappresentano il 55 per cento delle masse rispetto a una media europea del 40 per cento. Viceversa, i fondi azionari (20 per cento del totale) rappresentano solo la metà della media europea (40 per cento). I costi dei primi sono rimasti relativamente alti rispetto ai rendimenti delle obbligazioni: secondo stime Consob pesano in media 1,14 per cento sulle masse, pari a quasi un terzo dei rendimenti obbligazionari. (1)

A questo si aggiunge l’onere delle retrocessioni, ossia la percentuale delle commissioni che le Sgr riconoscono alla distribuzione. In Italia è di circa l’80 per cento, uno dei livelli più alti in Europa. Si lasciano così alle Sgr risorse limitate per investire sulla qualità della gestione e si crea un circolo vizioso: da una parte alle società di gestione viene chiesto di produrre qualità con risorse troppo modeste. E dall’altra una parte significativa dei prodotti viene venduta a un costo tale da compromettere la qualità stessa.L’insoddisfazione dei clienti è dovuta quindi più alla scelta delle classi di fondi nei portafogli e ai costi di questi, piuttosto che a carenze delle Sgr, che invece in media hanno una qualità rispettabile rispetto alle risorse a disposizione.

LA POSSIBILE EVOLUZIONE

Per capire come uscirne, basta osservare cosa sta accadendo nei mercati evoluti, dove gli investitori stanno abbandonando i tradizionali fondi d’investimento, a favore di fondi a gestione attiva, che mirano a conseguire extra-ritorni rispetto ai mercati di riferimento, e di fondi “passivi”, che permettono di investire in modo efficiente nella “pura” direzione dei mercati. I primi, tra i quali vi sono gli hedge funds, continuano a giustificare livelli alti di commissioni mediante l’eccellenza gestoria, che è una risorsa scarsa; i secondi, tra cui vi sono gli Etf, vengono offerti a prezzi sempre più bassi, grazie all’efficienza dei processi produttivi su volumi crescenti.



LE DIVERSE CONVENIENZE

Anche le Sgr italiane per sopravvivere dovranno svilupparsi in una delle due direzioni. Questo però implica un costo per i distributori-azionisti. La dimensione complessiva delle masse gestite appare quindi incompatibile con i livelli delle commissioni e delle retrocessioni e con la redditività dei distributori almeno in base dell’attuale composizione dei prodotti.

L’incompatibilità prima latente, è ora del tutto visibile ed è accentuata dall’introduzione della Mifid che rende evidenti i costi della produzione e della distribuzione. In sostanza, nel caso gli azionisti bancari vogliano promuovere una evoluzione verso prodotti più attivi, dovranno investire di più nelle Sgr riducendo le retrocessioni. Nel caso optino invece per un pricing competitivo dei prodotti “passivi”, dovranno abbassare il livello assoluto delle commissioni su certi prodotti. In entrambi i casi, vi saranno minori ricavi per la distribuzione. La strategia alternativa per le banche è preservare l’attuale livello di redditività, sostituendo i prodotti di risparmio gestito con altri ad alto margine, tipo strutturati, assicurativi o forme di raccolta diretta. Ed è questa la strada sinora adottata e accelerata dalla contestuale crisi dei mercati e introduzione della Mifid.

Il declino del risparmio gestito è quindi principalmente dovuto a una revisione delle priorità di prodotto da parte delle banche distributrici e alla mancanza della volontà di riposizionare le Sgr verso la gestione attiva o quella passiva proprio nel momento in cui sarebbe necessario farlo. È una scelta pericolosa per il futuro del risparmio gestito, ma motivata dalla necessità di proteggere il conto economico in un periodo di pressione sui margini. Come tale va compresa e va accettato che di conseguenza continueranno nel breve periodo i deflussi dai fondi.

MERCATO O REGOLATORE?

È dunque auspicabile che il riassetto dell’industria passi per lo sviluppo di funzioni autonome di distribuzione e produzione.La separazione proprietaria può essere una condizione necessaria, ma non sufficiente: la cessione delle Sgr o il loro consolidamento per raggiungere masse critiche da gestire non portano a risultati automatici.

Il futuro dell’industria dipenderà ida come gli azionisti bancari vorranno modificare la catena del valore e i margini sulla distribuzione, preservando al tempo stesso la redditività di lungo termine. E da come altri distributori puri riusciranno a emergere e consolidarsi. L’importante è capire se queste evoluzioni possano avvenire in maniera spontanea, sotto la spinta delle forze del mercato, oppure se debbano essere guidate da interventi del regolatore che stimolino la specializzazione e impediscano una concorrenza impari da parte di prodotti meno trasparenti a più alto margine rispetto a quelli del risparmio gestito.

(1) Consob, “Il marketing dei fondi comuni italiani” Quaderni di Finanza n. 61- gennaio 2008, pag. 34, Tav. 13

di Eugenio Namor
pubblicato su lavoce.info

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