Borsa e piccole imprese, quell’amore mai nato

Per assecondare la ripresa post pandemia, le PMI italiane possono rafforzare il loro capitale tramite la quotazione in Borsa, ma temono questo passaggio. Secondo i dati della Livolsi & Partner, su un campione rappresentativo di una quarantina di azienda con fatturato dai dieci ai 900 mln/anno, a frenarle sono: per il 35% la trasparenza, la paura cioè di rendere pubblici i propri report, per il 30% la scarsa predisposizione a condividere obbiettivi e risultati, ossia di avere periodici confronti con gli investitori (il mercato) e rappresentanti terzi nei CdA, per il 25% la mancanza di struttura manageriale esterna poiché la presenza nei ruoli apicali è solamente parentale e per il restante 10% le spese di quotazione, che mediamente assorbono tra il 5% e il 15% del controvalore dell’offerta. A parere della società milanese, è necessario attivare un sistema di agevolazioni fiscali per superare queste resistenze e favorire il risparmio interno a confluire nelle quotazioni di aziende italiane.

La fotografia riflette i dati di Borsa Italiana, in base a cui a fine 2020, la capitalizzazione complessiva delle società quotate a Piazza Affari è scesa a 607 MLD euro contro i 651 MLD euro dell’anno precedente. All’opposto Wall Street ha registrato un 2020 record, col valore delle IPO (Initial Public Offering) pari a 435 MLD dollari. Eppure, anche in un mercato non molto liquido come l’AIM (Alternative Investment Market) Italia, negli ultimi due anni la capitalizzazione delle aziende che si sono quotate è cresciuta di oltre il 70%. Conformemente allo studio “L’impatto della crisi da Covid-19 sull’accesso al mercato dei capitali delle PMI italiane” di Banca d’Italia, sarebbero 2.000 le piccole e medie imprese nazionali che potrebbero approdare in Borsa. Sempre la ricerca ricorda che a fine 2019 il rapporto tra capitalizzazione di mercato e PIL risultava pari solo al 36% in Italia, lontano dall’oltre 50% di Germania e ancor più dal 100% di Francia e Regno Unito.

Le nostre aziende – afferma Massimo Bersani (nella foto a destra) managing partner della Livolsi & Partners e responsabile delle operazioni di finanza straordinaria – sono abituate a risolvere i loro problemi finanziari tramite l’indebitamento bancario. Una situazione destinata a cambiare grazie ai processi di M&A (Mergers and Acquisitions), ai fondi di Private Equity, a tutti quegli strumenti come mini-bond, Private Debt, PIR (Piani Individuali Risparmio) e in prima istanza alla quotazione in Borsa. L’imprenditore deve essere il primo a capitalizzare la propria azienda se vuole che gli altri investitori, pubblici e privati, e le banche lo seguano nel suo progetto. Bisogna anche dire che il ricorso all’indebitamento da parte delle imprese è diminuito anche a seguito delle fusioni e concentrazioni avvenute nel settore bancario.”

Solo organizzazioni forti a livello patrimoniale – spiega Ubaldo Livolsi (nella foto a sinistra), presidente della società, già CEO di Fininvest e che condusse la quotazione in borsa di Mediaset e Mediolanum – possono investire nei tre punti chiave che la competitività globale richiede: capitale umano, internazionalizzazione e tecnologia. Il contesto è favorevole. Il PNRR (Piano Nazionale Ripresa Resilienza) è un disegno di 248 MLD, tra 191 di Next Generation EU e altri stanziati dal Governo, che dovrebbe rimettere in carreggiata l’Italia. È però necessario attivare un sistema di agevolazioni fiscali per superare le resistenze tra le PMI alla quotazione e favorire il risparmio interno a confluire nel capitale delle aziende nazionali. Da tempo sono fautore di un “fondo dei fondi”, un fondo di Private Equity, pubblico/privato (50% ciascuno), col coinvolgimento di CDP (Cassa Depositi e Prestiti), dove per attrarre i risparmiatori si possa prefigurare una liquidation preference ai privati rispetto alle istituzioni finanziarie.”

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