Investimenti, le conseguenze sui portafogli del petrolio a 100 dollari

Il 2 giugno il prezzo di un barile di petrolio ha superato la soglia dei 70 dollari per la prima volta da maggio 2019 e ora sembra salire verso quota 80, livello raggiunto l’ultima volta a fine 2018. Questo movimento, pur graduale e moderato, potrebbe proseguire, con diverse conseguenze. Cosa succederebbe se il prezzo del petrolio al barile arrivasse a 100 dollari al barile? Ecco di seguito la view di John Plassard, Investment Specialist del gruppo Mirabaud.

Cosa potrebbe supportare un ulteriore rialzo del petrolio?

Le ragioni che potrebbero spiegare il un ulteriore aumento del prezzo sono diverse:

  • Una ripresa della domanda: Dopo un calo storico in aprile, quando il barile di WTI è sceso per la prima volta in territorio negativo, l’ottimismo del “ritorno alla normalità” globale sta sostenendo i prezzi. Anche se la domanda rimane ben al di sotto dell’offerta, l’allentamento delle misure restrittive in Europa rassicura i mercati. Inoltre, grazie al progredire delle vaccinazioni, sempre più americani sono propensi a viaggiare.
  • Il rifiuto dell’OPEC+ di aprire i rubinetti: Martedì scorso è emerso in modo molto chiaro che i membri dell’OPEC+ non hanno fretta di aprire i rubinetti dei gasdotti. Il gruppo ha concordato infatti di non modificare l’attuale ritmo di graduale aumento dei limiti alle forniture fino a luglio. I Paesi membri non hanno discusso i livelli di produzione oltre agosto né hanno affrontato la questione iraniana. In seguito a questa riunione lampo e al desiderio di eludere tutte le questioni “delicate”, il prezzo del petrolio al barile ha guadagnato quasi il 3%…
  • Un aumento delle tensioni in Medio Oriente: La recrudescenza delle tensioni in Medio Oriente generalmente spaventa i mercati, con gli investitori che temono un’escalation che potrebbe interrompere le forniture di greggio in tutto il mondo. L’attacco di inizio marzo a Ras Tanoura, quando un missile prese di mira le installazioni del gigante energetico Aramco in Arabia Saudita orientale, per esempio, ha fatto impennare i prezzi
  • Il passaggio delle tempeste tropicali: Il prezzo del petrolio potrebbe continuare a salire durante la stagione degli uragani nel Golfo del Messico. Storicamente, anche solo l’apprensione basta per far salire i prezzi. Se la produzione dovesse subire gravi interruzioni, come nel 2005 con l’uragano Katrina, il prezzo del greggio salirebbe.
  • Inizio di un nuovo superciclo: Durante i supercicli non tutte le materie prime sono sulla stessa barca. Durante l’ultimo superciclo, tra il 2003 e il 2008, i prezzi reali dell’energia e dei metalli sono più che raddoppiati, raggiungendo i massimi storici, mentre i prezzi reali degli alimenti aumentarono del 75%. La crisi globale, che ha implicato automaticamente un forte rallentamento della crescita, ha portato a un forte calo dei prezzi, poi ripresisi molto rapidamente. Se davvero fossimo all’inizio di un superciclo (che tipicamente dura diversi anni), i prezzi dell’energia potrebbero salire ancora.
  • Speculazione: La speculazione va sempre considerata quando si discute del prezzo del petrolio, che sia in rialzo o in ribasso. Recentemente abbiamo assistito ad un calo. Poco più di un anno fa, in un solo giorno il prezzo del petrolio quotato a New York è crollato passando da $24,59 dollari al barile a $-37 dollari a fine della giornata. Inconcepibile. È difficile capire i motivi e le dinamiche di una tale situazione senza menzionare i famosi future utilizzati dagli speculatori e da altri fondi d’investimento sulla maggior parte dei mercati delle materie prime.

Quali le conseguenze?

Un aumento significativo del prezzo del petrolio non può non avere conseguenze, sebbene nel complesso l’impatto sarà variabile.

  • Impatti positivi

Le economie emergenti rappresentano la maggior parte dei Paesi produttori di petrolio, motivo per cui risentono degli effetti delle variazioni del prezzo più dei Paesi sviluppati. L’aumento delle entrate aiuterà a chiudere i deficit di bilancio e delle partite correnti, permettendo ai governi di aumentare la spesa per stimolare gli investimenti. I vincitori in questo senso sono Arabia Saudita, Russia, Norvegia, Nigeria ed Ecuador.

  • Impatti neutri

I produttori statunitensi di petrolio cercano di trarre profitto dall’aumento delle vendite verso quei clienti che si allontanano dall’Iran, ma non è detto che l’economia statunitense nel complesso beneficerebbe di una crescita dei prezzi del petrolio fino ai $100: i consumatori, spina dorsale dell’ (ancor debole) crescita economica, sarebbero sotto pressione. I prezzi al distributore stanno aumentando da quasi 3 mesi (non esitate a chiedermi il mio studio sull’argomento), raggiungendo i $5 al gallone in California. Questa tendenza potrebbe pesare sulle vendite al dettaglio, che a marzo hanno visto il maggiore aumento dal 2017 (seguito però da un leggero rallentamento in aprile).

Infine, se sui mercati globali del petrolio le cose dovessero mettersi male, c’è il rischio che la colpa politica ricada sugli Stati Uniti, a causa delle sanzioni che hanno imposto. Ciò potrebbe provocare un contraccolpo attraverso gli investimenti o altri canali che minacciano la stabilità economica.

  • Impatti negativi

Quelle economie emergenti con deficit delle partite correnti e di bilancio che importano petrolio corrono il rischio di dover fronteggiare notevoli deflussi di capitale e un indebolimento delle loro valute, che scatenerebbe l’inflazione. Governi e banche centrali sarebbero quindi costretti a valutare bene cosa fare: aumentare i tassi di interesse nonostante il rallentamento della crescita o non fare nulla e rischiare la fuga di capitali. La lista dei perdenti include Turchia, Ucraina e India.

  • Impatti sulla crescita

È un po’ come la storia del serpente che si morde la coda: la crescita economica incide sul prezzo del petrolio, che a propria volta influenza la produttività e la stabilità economica.

Secondo diverse analisi, se a fine 2021 il prezzo del Brent dovesse salire a $100 al barile, il livello del prodotto interno lordo mondiale sarebbe inferiore dello 0,6% rispetto alle previsioni attuali. Lo spettacolare aumento dei prezzi del petrolio tra il 2002 e il 2007 è costato tra 1 e 2,2 punti di crescita nell’Eurozona. Questo impatto non è trascurabile, ma rimane moderato data la portata dello shock. L’apprezzamento dell’euro ha contribuito a mitigare notevolmente gli effetti dell’impennata dei prezzi del petrolio, così come la diminuzione del peso del petrolio nell’economia.

  • Impatti sull’inflazione

Un aumento marcato dei prezzi del petrolio contribuirà ad un aumento dell’inflazione: i costi di trasporto aumenteranno, e questo farà aumentare i prezzi di molti beni. Sarà un’inflazione spinta dai costi, molto diversa dall’inflazione causata dall’aumento della domanda aggregata e dalla crescita eccessiva. Il legame tra prezzo del petrolio e inflazione è estremamente chiaro: lo possiamo vedere per esempio confrontando l’inflazione 5y5y (una misura dell’inflazione prevista nei prossimi cinque anni a partire da oggi) e il prezzo del WTI.

Storicamente, l’aumento del prezzo del greggio genera un aumento dei prezzi al consumo. Oltre a questo effetto diretto, ci sono poi anche alcuni effetti secondari. Le famiglie richiedono un aumento dei salari per limitare la perdita di potere d’acquisto.

Le imprese invece, per salvaguardare i margini, cercano di trasferire l’aumento del prezzo del petrolio sui consumatori. Questi meccanismi alimentano una spirale inflazionistica, che porta anche a revisioni al rialzo delle aspettative d’inflazione. Secondo diverse analisi, un aumento del prezzo del Brent fino a $100 al barile alla fine del 2021 implicherebbe una crescita dell’inflazione di 0,7 punti percentuali in media.

Il barile a 100 dollari potrebbe accelerare la normalizzazione monetaria?

Innanzitutto, bisognerebbe ricordare che la “inflazione core” monitorata dalle banche centrali esclude i prezzi molto volatili, come quelli del petrolio. Quindi, un aumento nel prezzo al barile non dovrebbe avere un impatto sulle decisioni di politica monetaria. Tuttavia, quando il prezzo di una materia prima continua a salire per un periodo prolungato (da 12 a 18 mesi), si ha un ritorno dell’inflazione di secondo livello (si veda il punto precedente o il mio studio sul tema, che è a disposizione): ciò ovviamente complica il compito delle banche centrali, attente alla stabilità dei prezzi (cioè all’inflazione).

Conclusione

Ci dimentichiamo che meno di dieci anni fa il barile di petrolio ha scambiato a oltre 100 dollari, mentre l’economia globale si riprendeva dalla famosa crisi del 2008. Sarebbe un grave errore escludere la possibilità di un ritorno dei prezzi sui livelli di allora (con tutti gli effetti che ne deriverebbero). Tuttavia, perché questo accada, bisognerebbe che si verificasse la compresenza di diversi fattori insieme.

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