Investimenti: le azioni possono essere viste anche come opere d’arte

Quest’anno, all’esame di Valuation, una sola domanda a risposta multipla. Quanto vale la Gioconda di Leonardo?

  1. Niente, zero, nulla. Lo Stato francese, per legge, non può alienare beni artistici (se non per sostituirli con altri equivalenti). La Gioconda è invendibile e si può pensare che il suo valore terminale sia zero. Nella pienezza dei tempi, infatti, verrà prima o poi rubata, incendiata durante una rivoluzione, distrutta dalla cancel culture o bombardata da un asteroide.
  2. Il valore di rottamazione della cornice, della tela e del colore che si recupera raschiando la tela. Tutto il resto è intangibile e quindi arbitrario e impossibile da misurare.
  3. Il costo di una riproduzione talmente perfetta da essere indistinguibile, in un blind test, dall’originale.
  4. Il costo socialmente necessario (economia politica classica), ovvero il costo del numero di ore di cui ha avuto bisogno Leonardo per dipingerla più, pro quota, il costo del numero di ore che sono state necessarie per la formazione professionale di Leonardo.
  5. Ottocentosessanta milioni di dollari. Si arriva a questa cifra attualizzando i cento milioni del 1962 per i quali il Louvre assicurò la Gioconda prima di una trasferta dell’opera in America.
  6. Il valore scontato del reddito derivante dall’afflusso dei visitatori del Louvre che vanno espressamente a vedere la Gioconda (biglietti e indotto turistico) meno il costo di opportunità del Louvre, che potrebbe altrimenti essere trasformato in un centro commerciale o demolito per fare posto a redditizi grattacieli in un’area molto ambita.
  7. L’ultimo prezzo effettivamente pagato dal mercato, ovvero il controvalore dei 4000 scudi d’oro che Francesco I pagò a Leonardo per l’opera (più l’apprezzamento che il mercato concede dopo la morte di ogni artista).
  8. Uno-due miliardi di euro, stima di France Estimations, casa d’aste. Se il Salvator Mundi è stato venduto per 450 milioni, non è per niente irragionevole che la Gioconda valga il quadruplo. Sempre che siano ragionevoli i 450 milioni del Salvator Mundi, che forse non fu nemmeno dipinto da Leonardo.
  9. Il prezzo più alto che qualcuno sia disposto a pagare. Dopodiché, come afferma Buffett, il prezzo è quello che si paga, il valore è quello che si ottiene.
  10. Cinquanta miliardi, il prezzo al quale la Francia dovrebbe vendere la Gioconda per sostenere con il ricavato gli operatori della cultura che la pandemia ha reso disoccupati. È la proposta lanciata un anno fa da Stéphane Distinguin, il fondatore di Fabernovel. Cinquanta miliardi sarebbero solo un quarto del valore netto dei grandi ricchi di oggi. In alternativa, suggerisce Distinguin, la Gioconda potrebbe essere suddivisa in azioni e quotata in Borsa.

La Borsa

Già, la Borsa. Chiedete a uno scienziato di che cosa è fatto l’universo e nella stragrande maggioranza dei casi vi darà una risposta fisicalista. Verrà cioè negato che esista qualcosa che non sia fisico, come ad esempio il mentale.

Guardate però al mondo della finanza e noterete che dei 35 trilioni di capitalizzazione dello Standard and Poor’s 500 è fatto di beni tangibili (immobili, impianti, scorte) solo il 10-15%. Il resto è immateriale. Potremmo dire anche (si pensi al valore del marchio di un’azienda o di un prodotto) mentale o simbolico.

Certo, le valutazioni sono fatte oggi soprattutto partendo dalla capacità presente e futura di creare reddito, non da una fotografia statica del patrimonio. Chi opera in un settore maturo ha valutazioni relativamente basse (10-15 volte gli utili), chi opera in un settore in rapida crescita ha valutazioni doppie. Chi sta infine sulla frontiera della disruption ha valutazioni a metà strada tra la logica dell’opzione e quella del biglietto della lotteria (basta che una sola di queste società abbia successo in futuro per compensare il loro costo complessivo oggi). Bisogna però ammettere che una parte del mercato valuta questo terzo settore come un’opera d’arte da ammirare e di cui essere orgogliosi se se ne possiede anche solo una piccola quota.

Il problema della valutazione di un’azione come opera d’arte è che anche nell’arte esistono le mode. Negli anni Ottanta salivano i prezzi degli Impressionisti perché i soldi li avevano i giapponesi, che amavano particolarmente questa corrente. Negli anni Dieci sono invece saliti soprattutto i maestri americani, perché i soldi venivano dalla finanza di Wall Street.

Quanto agli altri due settori, valore e crescita, la loro presenza nei portafogli sarà funzione di due variabili, crescita economica e tassi. Con crescita bassa e tassi bassi (come è stato nel decennio scorso) andrà di nuovo bene la tecnologia. Con crescita alta e tassi ancora bassi andranno bene i ciclici industriali tradizionali.

Con crescita bassa e tassi comunque più alti a causa dell’inflazione saranno da preferire i finanziari, a condizione che non si entri in una stagflazione conclamata. Segnaliamo in proposito l’ultima foschissima analisi di Nouriel Roubini, che ipotizza il maturare lento di una crisi devastante che combinerà il peggio degli anni Settanta (in cui almeno c’era poco debito e in cui le valutazioni di partenza erano basse) con il peggio della Grande Recessione del 2008.

Il quarto scenario, più realistico e probabile in un anno elettorale come sarà il 2022, vede invece ancora buona crescita e tassi moderatamente più alti sulla parte lunga della curva. In questo caso finanziari e ciclici faranno meglio del resto, mentre la tecnologia si limiterà a salire in linea con gli utili.

Nel breve continuiamo a vedere un mercato che prende bene tutti i tipi di notizie (le buone perché sono buone e i segnali di rallentamento perché allontanano la prospettiva del tapering). La liquidità è talmente ampia che la Fed deve prosciugarne sempre di più, stando comunque ben attenta a non diventare restrittiva. Finché è così conviene rimanere investiti.

A cura di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos

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