Investimenti: la pausa del reflation trade

Che succede? Perché i corsi dei bond continuano a salire, mandando i rendimenti reali in territorio sempre più negativo? Perché questo avviene proprio mentre l’inflazione è sui livelli più alti degli ultimi vent’anni? Significa che la ripresa si sta indebolendo? O significa che la fiducia che la battaglia tra uomini e virus sarà vinta da noi sta venendo meno?

La crescita

Cominciamo con la crescita. L’Europa va bene, anche più del previsto. L’Asia va così così. L’America era partita alla grande, con un secondo trimestre che era iniziato eccezionalmente forte e che però si è chiuso con un evidente rallentamento. Sui mercati, come sempre, è l’America che dà il tono e la direzione e le sue sorprese, nelle ultime settimane negative, influenzano le borse di tutto il mondo.

La delusione americana ha due cause. La prima è il parziale venir meno della spinta della domanda compressa dalla pandemia. C’è desiderio di rifarsi della tristezza e della paura (mai sottostimare la voglia di spendere del consumatore americano, dice un vecchio adagio) ma questo non si traduce in euforia. C’è ancora una certa prudenza, anche perché il governo non manderà più altri soldi e perché i sussidi di disoccupazione straordinari verranno meno in settembre.
La seconda ragione è che il mercato del lavoro, sempre in America, è attraversato da tensioni di ogni genere. Ci sono ancora tante persone a casa ma, al tempo stesso, si fa grande fatica a trovare personale anche pagandolo più di prima. Si prenda il caso dei ristoranti, obbligati a servire solo la metà o un quarto dei tavoli disponibili per ragioni di distanziamento e però costretti dalle nuove norme sulle retribuzioni minime a pagare di più (a volte molto di più) il personale. Non c’è da stupirsi che molti scelgano di rimanere chiusi.

L’irregolarità della crescita non deve però fare dimenticare che la ripresa americana ha ancora prospettive molto solide. La seconda metà del 2021 sarà meno esuberante della prima metà, ma la crescita dovrebbe mantenersi su una velocità annualizzata di tutto rispetto, vicina al 5 per cento. L’Europa dovrebbe continuare ad andare bene e in Asia il rallentamento cinese dovrebbe presto terminare grazie al nuovo orientamento procrescita della politica economica.

Perché i bond governativi continuano a salire di prezzo?

Le ragioni sono varie. La prima, di cui abbiamo detto, è il raffreddamento del boom americano tra aprile e giugno. La seconda è che è calata l’offerta di titoli da parte del Tesoro, che nelle fasi più buie della pandemia, approfittando dei tassi scesi allo 0.50 sul decennale, aveva emesso un trilione più del necessario e depositato il ricavato presso la Fed. Ora il Tesoro sta attingendo dal suo conto presso la Fed, riportandolo su valori normali, e ha quindi meno bisogno di emettere nuovi titoli.

La (temporanea) minore offerta di titoli governativi si è poi unita alla domanda continua di titoli da parte della Fed per il Quantitative easing (120 miliardi, più quasi altrettanto nel resto del mondo).

A questa si è aggiunta la domanda per ricoperture da parte di chi, ipotizzando una caduta dei corsi dopo i dati sull’inflazione, si era messo al ribasso. Negli ultimi giorni, infine, abbiamo visto la riallocazione sul reddito fisso di posizioni che erano state aperte in borsa sui titoli ciclici e che ora sono state chiuse.

Il reflation trade

Mentre i governativi salgono di prezzo, le Borse stanno riconsiderando il reflation trade. I titoli ciclici correggono e i settori di crescita e i difensivi sono di nuovo in auge. Per ora la correzione complessiva è contenuta.
Per avere più chiarezza bisognerà aspettare la ripresa autunnale. In settembre, come abbiamo visto, cesseranno in America i sussidi di disoccupazione straordinari. A quel punto il mercato del lavoro sarà libero di trovare un equilibrio non artificiale e potremo così misurarne la vera forza e l’impatto sull’inflazione salariale.

Fino a dopo l’estate, quindi, i mercati azionari fluttueranno senza una tendenza definita. Ci sarà denaro per comprare su ribasso perché le prospettive per la seconda parte dell’anno e per il 2022 rimangono buone, ma ci saranno anche venditori su rialzo finché rimarrà aperta l’ipotesi di una quarta ondata della pandemia.
In questo quadro le banche centrali cercano di mantenere la rotta.

Le Bance Centrali

La Fed non ha intenzione di alzare i tassi prima delle elezioni del novembre 2022 (tantomeno se il pacchetto fiscale sulle infrastrutture dovesse indebolirsi o addirittura arenarsi in Congresso) e l’unico spazio di manovra che si è concessa nel breve è sul tapering (fine 2021 o inizio 2022, non cambia molto) e, sul brevissimo, sulle operazioni di manutenzione della liquidità in eccesso, che ha ormai superato il trilione di dollari.

La Bce, dal canto suo, si dota con la revisione strategica quinquennale appena ultimata di nuovi strumenti per darsi più flessibilità. I cambiamenti climatici e il costo operativo delle case (non il prezzo delle case, attenzione) come nuovi elementi per la formulazione della politica monetaria e per il calcolo dell’inflazione sono vaghi e di difficile misurazione. Verranno in pratica modellizzati con formule complesse che lasceranno alla Bce più spazio di manovra e al mercato più incertezza (si vedano le dispute infinite sull’Owners’ Equivalent Rent americano). È chiaro che la Bce ha bisogno di spezzare le catene del suo statuto e cerca modi di aggirarne i vincoli, ma è anche chiaro che lo fa con il freno a mano tedesco tirato, come è evidente nella nuova formulazione dell’obiettivo d’inflazione, più generoso del precedente ma più limitato rispetto a quello americano.

In conclusione

In sintesi, ci sono un modesto rallentamento della crescita americana e qualche rischio in più sulla pandemia da una parte e minori attese di inflazione dall’altra, mentre le banche centrali mantengono sostanzialmente la loro rotta espansiva. Il grande rialzo può prendersi una pausa, ma non è finito. Il prossimo appuntamento è con gli utili del secondo trimestre, che dovrebbero essere molto buoni. Per chi ha posizioni equilibrate non c’è motivo di uscire dal mercato.

A cura di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos

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