Mercati: chip, energia e pandemia faranno correre ancora l’inflazione

La recessione causata dalla pandemia ha visto i governi attivarsi con risposte decise sotto forma di ingenti stimoli fiscali, che solo negli USA equivalgono a circa il 25% del PIL. Tuttavia, questa iniezione di liquidità preoccupa per un possibile effetto collaterale: l’aumento incontrollato dell’inflazione. In effetti, negli Stati Uniti a maggio è stata registrata un’inflazione annua del +5%, ben superiore alle aspettative. Mentre la BCE, attendendosi uno sviluppo simile, questa settimana ha portato il target d’inflazione da “inferiore ma vicino al 2%” al 2% simmetrico, mostrandosi più tollerante verso picchi momentanei. In particolare, nel breve termine un settore già colpito dalle pressioni al rialzo è l’industria del cibo, che da inizio anno ha registrato significativi incrementi nei prezzi degli alimenti (+106% per la carne di maiale, +105% il mais e +86% la soia).

Nel lungo termine, poi, si stanno delineando alcuni fattori che porterebbero ad un moderato rialzo dei prezzi nel tempo. Abbiamo identificato un fattore geopolitico e uno ambientale riguardanti le relazioni dell’Occidente con la Cina. Per quanto riguarda il primo, si deve ricordare che la globalizzazione è stata uno dei maggiori trend disinflazionistici degli ultimi decenni, in particolare supportata dalla Cina, in cui si è concentrata la produzione di beni a basso costo. Ultimamente, però, il deteriorarsi dei rapporti con il colosso asiatico potrebbe portare alcune aziende a riallocare i propri siti produttivi in territorio domestico sostenendo maggiori costi. Il secondo è un fattore ambientale, in quanto le preoccupazioni riguardo i processi produttivi in atto in Cina non sono più ignorate. Infatti, ora l’opinione pubblica non li ritiene più accettabili in quanto, nella maggior parte dei casi, sono particolarmente inquinanti. A seguito di questo cambiamento, la Cina ha annunciato di avere in programma la riduzione del 13% della propria capacità di acciaio, e prenderà decisioni simili in altre industrie ad alte emissioni come vetro, cemento e alluminio. Anche in questo caso, la riduzione della produzione a basso costo potrebbe rappresentare un’ulteriore spinta inflazionistica. Tuttavia, alcuni analisti hanno condotto un’intervista a giugno per cui il 72% dei principali fund manager considera che il picco di inflazione sia transitorio, in quanto diretta conseguenza sia del boom di domanda creato dalle riaperture, che della frammentazione delle supply chain. Un esempio è   il fatto che metà  del picco di inflazione USA a maggio sia dovuto al settore automobilistico, del nuovo e dell’usato, e ai trasporti aerei, entrambi favoriti dalle riaperture e che risentono della carenza di alcuni componenti fondamentali (come chip e materie prime).

Dal carbone al silicio: il tema di investimento nei semiconduttori

Carbone e silicio: sono due degli elementi fondamentali su cui si basano l’industria e l’economia mondiale, ma nel prossimo futuro potremmo attenderci due tendenze ben differenti per quanto riguarda il lato della domanda. Per il carbone un trend al ribasso: il riscaldamento globale e la maggior attenzione verso le condizioni climatiche porteranno ad un minor utilizzo di combustibili fossili.

Per il silicio, al contrario, vi sono aspettative per un importante trend al rialzo: il materiale serve per la produzione di semiconduttori, che rappresentano le componenti essenziali per la trasformazione digitale e tecnologica dell’economia. Alcuni dati, infatti, parlano chiaro. Il grafico sopra (linea blu) mostra le performance del Philadelphia Semiconductor Index rapportate a quelle dell’S&P 500. Il primo si tratta di un indice composto dalle principali 30 società che si occupano della progettazione, della produzione e della commercializzazione di semiconduttori. Si osservi: negli ultimi 11 anni e mezzo il primo ha sovraperformato il secondo con un rendimento annualizzato del +7,8% e, esattamente come dovrebbe essere, anche i profitti (linea rossa) sono risultati superiori si oltre il 7% su base annualizzata (il mercato, per una volta, è stato efficiente!). Ma da dove deriva tutta questa richiesta di chip? Ad oggi, più di metà della domanda proviene dal settore delle comunicazioni (33%) e dai produttori di computer (29%). Tuttavia, abbiamo osservato che alcuni segmenti potranno ricoprire una fetta sempre più corposa nel corso degli anni: tra gli altri, abbiamo l’automotive (oggi il 12% della domanda totale), che sta attraversando un periodo di conversione a favore dell’elettrico. Si pensi che la costruzione di un Electric Vehicle (EV) richiede una quantità di semiconduttori molto maggiore rispetto ai veicoli tradizionali, ovvero tra le 3 e 3,3 volte. Inoltre, oggi ci troviamo in un contesto molto particolare, poiché la domanda di chip supera largamente l’offerta e le case automobilistiche non riescono talvolta a rispettare gli ordini di consegna. Pertanto, riteniamo che questo settore possa davvero continuare a crescere, spinto anche da nuove tendenze quali il 5G, l’Intelligenza Artificiale e la digitalizzazione dell’economia (piattaforme di E-Commerce e di pagamenti digitali). Infine, vorremmo sottolineare come il tema di investimento presenti dei multipli ragionevoli. Infatti, nonostante la crescita attesa dei profitti nel lungo termine sia significativa, le aziende legate al settore dei semiconduttori oggi presentano comunque delle valutazioni di mercato in linea con quelle dell’intero comparto azionario USA.

A cura di Giacomo Calef, Country manager di Notz Stucki

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