Asset allocation: ecco su chi puntare nella guerra dei chip e delle commodity

Materie prime e inflazione

Come testimonia il dato statunitense, che per il terzo mese consecutivo è salito largamente sopra le stime, i livelli di inflazione potrebbero permanere su livelli significativamente elevati. Il tasso annuale che include i prezzi dei beni energetici ed alimentari è salito del 5,4% a giugno, ovvero il più ampio incremento mai registrato dall’Agosto 2008 ed un terzo di tale aumento è causato dalla fiammata dei prezzi dei veicoli usati. In particolare, si può osservare che l’incremento dei prezzi sia dovuto al fatto che la produzione di alcune materie prime sia concentrata in poche aree o nelle mani di pochi produttori.

Con riguardo all’automotive, ad esempio, la forte carenza di semiconduttori ha costretto i principali player del settore a ritardare la produzione: nel Nord America la capacità produttiva si è ridotta di più di un 1 milione di veicoli e le case automobilistiche USA sono fortemente dipendenti dai produttori situati in Cina, Corea e Taiwan. E per poter incrementare il know how domestico, infatti, il Senato statunitense un mese fa ha approvato un piano di 52 miliardi di dollari USD. Ma non solo chip, vi sono alcuni materiali che saranno determinanti per la transizione energetica e al momento sono concentrati in poche aree. Ad esempio abbiamo il cobalto, che si ricava soprattutto nei giacimenti situati nella Repubblica Democratica del Congo, in Australia e Cuba. Oppure il litio, con circa il 90% della produzione che avviene in Cile, Argentina e Australia. Infine, abbiamo le terre rare: si tratta di un gruppo di 17 elementi chimici che vengono definiti tali non tanto per via della loro scarsità, ma più per gli onerosi processi di estrazione. In questo caso, il controllo di questi elementi appartiene ad un colosso globale che, ormai da tempo, minaccia le economie occidentali con il proprio potenziale di crescita: la Cina. Quest’ultima, alla maggior parte delle terre rare, presiede e controlla fino a circa l’80% della processazione globale di cobalto ed il 90% dei siti produttivi di litio, per cui ci si attende ancora un forte aumento della domanda. Ma al momento, in particolar modo, il rialzo delle principali materie prime per l’industria, come il petrolio (il Brent fa +43% circa da inizio anno) ed il rame (+22% circa da inizio anno) potrebbero colpire maggiormente le piccole e medie imprese.

Osservando l’indice Russell 2000, rappresentativo delle mid cap USA, si può notare come nell’ultimo mese abbia ceduto il -5% circa (al 15 Luglio), poiché queste si troverebbero nella condizione di fare approvvigionamento di materie prime e sostenere spese di trasporto a costi significativamente maggiori.

Cina e Taiwan: una lotta per il primato dei chip

Dal discorso tenuto da Xi Jinping a inizio luglio, in occasione delle celebrazioni per il centenario del Partito Comunista, è emersa chiaramente la volontà del presidente di riunificare Taiwan alla Cina continentale. Benché la Repubblica Popolare già consideri Taiwan una sua provincia, la popolazione dell’isola si sente invece indipendente e supporta il suo governo democratico. Quest’ultimo ha ribadito, in risposta, la propria determinazione nel difendere i confini e la sovranità della democrazia di Taiwan. Tuttavia diversi studiosi, anche considerando le incursioni militari cinesi nei cieli di Taiwan che si sono susseguite negli ultimi mesi, soppesano l’idea di un possibile scontro armato nel medio periodo, nonostante le dichiarazioni di Xi Jinping parlassero di una “riunificazione pacifica. Le ragioni del forte interesse della Cina nei confronti di Taiwan, secondo agenzie di stampa internazionali, vanno ben oltre i motivi nazionalistici di unità del popolo e del territorio cinese ripetuti nelle cerimonie ufficiali.

Infatti, si ricordi che l’isola è la sede di molte importanti aziende tecnologiche, che rappresentano oltre un terzo degli export dell’isola, tra cui spicca Taiwan Semiconductors (TSMC), il leader mondiale della produzione di chip. Proprio la recente carenza di semiconduttori, ovvero le componenti elettroniche fondamentali per la digitalizzazione e per la transizione energetica (basti pensare all’automotive con la diffusione degli EV), ha acceso un focus sul ruolo chiave dell’azienda taiwanese: essa è responsabile di circa un quinto della produzione di chip a livello mondiale, acquistati anche dalle big tech come Apple.

Inoltre, l’escalation della diatriba US-China, che ha reso più difficile per il colosso asiatico comprare chip americani per soddisfare il proprio fabbisogno, potrebbe aver innescato un allarmante meccanismo. Infatti, il governo taiwanese sostiene che la Cina stia attuando piani di infiltrazione per impossessarsi del prezioso know-how e dei talenti di TSMC, in modo da procedere al miglioramento della propria produzione e da poter dipendere meno da fornitori stranieri. Per Taiwan, però, perdere questo vantaggio competitivo a favore della Cina potrebbe essere il passo decisivo alla perdita della libertà politica, con il rischio che l’Occidente possa cedere al colosso asiatico il primato in fatto di tecnologia. Al fine di evitare questo scenario, paesi come gli USA, che dipendono dai chip di Taiwan e sono al contempo rivali della Cina, stanno offrendo supporto sia politico con visite di stato ufficiali, che stringendo accordi con TSMC, che di recente ha deciso di realizzare una fabbrica in Arizona, con un investimento di circa 12 miliardi di dollari.

A cura di Giacomo Calef, Country manager di Notz Stucki

 

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