Investimenti: no Esg? Ahi, ahi, ahi

Istituzioni, imprese, finanza, società civile: l’intera comunità, in ogni sua parte, è coinvolta nel processo di sviluppo sostenibile, poiché i cambiamenti su scala globale, come urbanizzazione, invecchiamento demografico, crisi climatica e impoverimento di risorse naturali, impattano su stili di vita, processi produttivi, relazioni tra individui e ambiente. Il modello di crescita lineare, in termini sostenibili, sta diventando sempre più incompatibile con le sfide del futuro e sempre più investitori e stakeholders sono impegnati ad invitare le organizzazioni all’azione.

Francesco Ferrara, responsabile in PwC per l’Italia delle attività CSR e programma Net Zero, finalizzato alla decarbonizzazione delle attività di PwC entro il 2030, nell’intervista pubblicata su Genio & Impresa, il web magazine online di Assolombarda, ha evidenziato come climate change, emissioni carboniche e valore economico di un’azienda sono strettamente e direttamente intrecciate. Proprio sulla base di uno studio realizzato da PwC, “2022 – The growth opportunity of the century”, emerge che oltre il 75% degli investitori istituzionali europei intende interrompere l’acquisto di prodotti europei non ESG (Environmental, Social and Corporate Governance) entro i prossimi due anni. Di conseguenza, gli investitori sono sempre più consapevoli che le aziende che gestiscono proattivamente le tematiche ESG reggono meglio gli urti dei mercati e reagiscono con performance eccellenti rispetto ai loro competitor: non a caso, i temi ESG integrano ormai i tradizionali criteri di investimento. Infatti, nel 2020, le imprese con i rating ESG più elevati hanno mostrato maggiori rendimenti differenziali, nonché resilienza anche nel contesto di un’emergenza senza pari.

“La prosperità del business è collegata alla sua capacità di adattarsi al contesto, valutandone i rischi e la loro evoluzione nel tempo, e di cogliere tempestivamente i segnali dai mercati – afferma Francesco Ferrara – Il carattere di pervasività di una trasformazione fortemente sostenuta dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, oltre a rappresentare una straordinaria opportunità rigenerativa a cui le aziende non possono rinunciare, è destinata ad imprimere una svolta epocale per il Paese. Così la riduzione delle emissioni di gas serra non frena le attività delle imprese, al contrario rappresenta una garanzia per il futuro perché ne favorisce la crescita e ne libera tutto il potenziale di adattamento e cambiamento, anche ecologico. Inoltre, la spiccata sensibilità verso queste tematiche delle nuove generazioni, Millennials e, soprattutto, Gen Z, mostra come la direzione sia ormai tracciata: la sostenibilità non può che essere integrata nei piani strategici delle aziende”.

Ma qual è oggi l’approccio delle aziende italiane?

“I cda dei grandi gruppi sono sempre più consapevoli e sempre più «demanding» sui temi ESG nei confronti dell’AD e del management team. Dall’altro lato però, le PMI sono ancora restie ad un approccio proattivo e strategico al tema della sostenibilità o, non di rado, semplicistico o superato – spiega Francesco Ferrara – Specialmente le imprese familiari, anche di dimensioni rilevanti e/o controllate all’estero, evidenziano un certo ritardo rispetto alle dimensioni ESG. Tuttavia, la flessibilità delle nostre imprese familiari rende possibile un rapido e organico spostamento sulle tematiche ESG. La pandemia, inoltre, ha enfatizzato l’importanza di alcuni fenomeni, quali l’organizzazione del lavoro, la struttura della supply chain e la dislocazione dei fornitori chiave, la capacità di dare continuità alle attività in condizioni di stress. Interrogarsi concretamente su come aderire agli obiettivi di sostenibilità porta ad aree di miglioramento ed efficienza inimmaginabili, così come riorientare il proprio business verso un modello circolare”.

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