Investimenti: la rotazione può non essere un buon affare

Negli ultimi mesi abbiamo avuto modo di osservare quanto siano effimere le mode sui mercati azionari. A marzo regnava ancora un acceso dibattito su quali aziende avrebbero beneficiato maggiormente della riapertura dell’economia dopo i lunghi lockdown legati al coronavirus. Questo era il tenore generale: meglio sostituire i titoli di qualità con azioni di società sensibili alla congiuntura, pronte a tornare all’antico splendore una volta finita la pandemia, come banche o compagnie aeree. Ma vale davvero la pena di continuare a puntare sui “perdenti di ieri”? Ecco di seguito la vie di Bert Flossbach, co-fondatore di Flossbach von Storch.

Per quanto ci riguarda noi restiamo prudenti. A nostro parere tutta la questione della rotazione da una certa categoria di azioni a un’altra può servire al massimo come materiale per i commenti di mercato, perché non ha un grande valore in prospettiva futura. Chi acquista azioni di compagnie aeree, catene alberghiere e del settore ristorazione, o ancora di operatori turistici, compagnie petrolifere, banche e altre società particolarmente sensibili alla congiuntura dovrebbe avere motivi più fondati della semplice revoca delle misure di lockdown. Anche perché un’eventuale nuova variante del virus, più pericolosa e resistente al vaccino, potrebbe cambiare completamente le carte in tavola dall’oggi al domani.

È inoltre importante ricordare che i “perdenti” del Covid che già soffrivano di problemi strutturali prima della crisi continueranno probabilmente a muoversi con fatica anche dopo la pandemia. Al contrario, ci sono buone ragioni per credere che le realtà più solide continueranno ad avere successo anche dopo la riapertura dell’economia.

Le “teorie” vanno e vengono, la qualità resta

 Sarebbe quindi sciocco abbandonare il postulato della qualità aziendale e seguire una tendenza a breve termine, che probabilmente perderà presto il suo slancio. Non c’è nulla di male nelle azioni di società legate alla congiuntura se la qualità aziendale è abbastanza buona da non doversi preoccupare per la loro continuità operativa a lungo termine e se le valutazioni azionarie sono allettanti. Gli investitori dovrebbero però evitare di rivoluzionare l’intero portafoglio o addirittura di inseguire un’unica tendenza. Una strategia d’investimento orientata al lungo termine non deve considerare il mercato azionario come un casinò e cercare di battere il banco (il mercato) alla roulette – a lungo andare, infatti, questo comportamento non è affatto proficuo. Invece di scervellarsi su chi potrebbe beneficiare maggiormente della probabile fine della pandemia nei prossimi mesi, bisognerebbe piuttosto identificare le aziende in grado di generare le entrate più prevedibili e sostenibili.

Nel frattempo il dibattito sulla rotazione è svanito, così come molte altre presunte “teorie” sul tema. Nel secondo trimestre, i titoli ciclici hanno evidenziato andamenti piuttosto modesti mentre molte azioni “growth” hanno messo a segno notevoli guadagni; dati economici favorevoli e prospettive positive hanno sostenuto soprattutto le azioni di società tecnologiche come Alphabet, Amazon, Facebook o Microsoft, protagoniste di rialzi a due cifre.

Con il senno di poi, l’andamento del primo semestre sui mercati azionari rivela che la pandemia tende ad accelerare i trend esistenti e che difficilmente si tornerà a una situazione pre-crisi. In Borsa come nella vita, nel lungo periodo è la qualità ad avere la meglio. Ci riferiamo in particolare a società in forte crescita con bilanci solidi, modelli di business sostenibili, una buona posizione concorrenziale e in grado di resistere alle crisi in un’ottica di lungo termine.

Altrettanto importante, però, è non continuare a puntare in modo dogmatico su certe aziende quando la loro qualità – ovvero la sicurezza degli utili e/o il potenziale di crescita – inizia a deludere. La pandemia di coronavirus ha rappresentato un catalizzatore tanto per l’innovazione quanto per l’erosione qualitativa. Un esempio fra tanti è l’ascesa del commercio online a scapito di quello tradizionale. Non ha molto senso quindi, parlare di vincitori e perdenti della pandemia perché in molti casi le imprese beneficiavano o risentivano della digitalizzazione anche prima dell’avvento del virus.

Anche se prima o poi la pandemia finirà, il contesto rimane difficile. I trend si invertono e gli schemi si rompono; questo vale sia per singoli settori e imprese, sia per la politica fiscale e monetaria. L’investitore deve quindi costantemente rimettere in discussione la sua visione globale degli investimenti – anche senza Covid-19.

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