Investimenti: il paradigma della ripresa resta in piedi

I paradigmi scientifici, scriveva Thomas Kuhn nel 1962, hanno un ciclo di vita suddiviso in cinque fasi. La prima è quella, rivoluzionaria, in cui un nuovo paradigma si impone sul precedente. La seconda è quella in cui il nuovo paradigma diventa scienza normale. In questa fase le energie non sono più dedicate allo scontro sui massimi sistemi ma vengono organizzate per sviluppare al massimo in tutte le sue implicazioni e applicazioni il paradigma di consenso. È una fase di edificazione.

La terza fase è quella in cui il paradigma di consenso, estendendo la sua influenza su aree nuove e inesplorate, inizia a registrare delle anomalie. Qualcosa insomma comincia a non andare come ci si aspettava che dovesse andare sulla base della teoria accettata. Giustificare con teorie ad hoc queste anomalie inizia a distogliere energie dal processo di edificazione e rende meno compatta la teoria, che richiede in alcune sue aree delle forzature o delle vere e proprie capriole mentali (quelle che Lakatos avrebbe poi definito cinture protettive).

Nella quarta fase le anomalie si moltiplicano e la teoria di consenso continua a essere utilizzata solo perché non ce ne sono ancora altre che possano sostituirla. La scienza reale, quella che gestisce soldi e carriere accademiche, è ancora costruita sulla teoria di consenso e quasi nessuno, dall’interno del sistema, ha voglia di esprimere pubblicamente le sue perplessità. È più comodo continuare a ripetere pigramente le teorie ufficiali, anche se appaiono svuotate. Solo chi è esterno al sistema ha l’assenza di vincoli e il coraggio di battere strade nuove e proporre un paradigma alternativo, che il sistema tende prima a ridicolizzare e poi a combattere con tutte le sue forze.

La quinta fase è quella in cui il nuovo paradigma si impone e dà vita a un nuovo ciclo.

Nel corso dell’estate 2020 i mercati finanziari hanno elaborato una robusta e articolata narrazione (vittoria in vista sul virus, eccezionale sostegno monetario e fiscale, esplosione di produttività e utili) che ha soppiantato in breve tempo la narrazione di aprile e maggio (siamo perduti) ed è a tutt’oggi il paradigma di consenso che definisce le strategie obbligazionarie e azionarie.

Questo paradigma, che dopo il rapido trionfo iniziale è stato per un anno scienza normale, da circa un paio di mesi è entrato nella sua terza fase, quella delle anomalie. Vediamone rapidamente le principali.

Il sottoparadigma della vittoria sul virus ha dovuto rilevare l’anomalia della variante delta e dell’efficacia parziale e breve dei vaccini, ma ha reagito con energia elaborando l’idea che la pandemia sta diventando gestibile.

Il sottoparadigma del vigoroso supporto monetario e fiscale registra i primi aumenti della pressione fiscale (il nuovo pacchetto americano e l’aumento dei contributi sociali in Inghilterra) ma l’anomalia viene rintuzzata sottolineando che si tratta di misure redistributive che hanno un effetto macro non negativo, ma semplicemente neutrale. Il tapering della Fed e la moderata diminuzione degli acquisti di titoli annunciata dalla Bce per i prossimi mesi sono dal canto loro anomalie scontate (la Fed) o troppo esigue (la Bce) per impensierire seriamente i mercati.
Il sottoparadigma dell’inflazione solo transitoria è bombardato quotidianamente da anomalie (sul triplice fronte dei prezzi all’ingrosso, dei prezzi al consumo e delle retribuzioni) ma i mercati hanno deciso fin da subito di fare pace con questo problema a patto che continui a esserci una forte crescita dell’economia globale.

Il sottoparadigma della crescita registra dall’inizio dell’anno l’anomalia cinese e da due mesi quella americana. Quest’ultima non è riscontrabile a prima vista, perché i PMI sono ancora molto buoni, ma si nasconde nelle pieghe dei dati. I PMI sono infatti gonfiati da una parte dall’inflazione e dall’altra dalla ricostituzione di scorte. Il punto debole è la domanda finale, che dopo una brillante fiammata in primavera si è fermata in molti comparti. Sulla crescita i mercati sono particolarmente sensibili, come si può vedere dal nervosismo delle ultime sedute.
L’unico sottoparadigma che ha finora retto perfettamente è quello dei buy back, di cui si profilano nuovi massimi storici.

Come si vede, le anomalie non hanno finora messo in discussione la teoria normale. Con la capitolazione di alcuni strategist che avevano mantenuto il loro obiettivo per l’SP di 4000 a fine anno e che l’hanno ora portato nell’area di consenso, il paradigma dominante ha addirittura esteso e completato la conquista delle ultime casematte di dissenso.

Questo non significa però per forza che le anomalie non possano intensificarsi, facendoci entrare nella quarta fase del paradigma, quella della crisi. Le anomalie della terza fase portano solo volatilità, quelle della quarta porterebbero a un riprezzamento generale verso il basso dell’azionario.

I due aspetti da tenere maggiormente d’occhio sono le nuove varianti del virus, in particolare quelle su cui i vaccini attuali sono inefficaci, e la domanda finale del consumatore americano (per l’Europa i problemi sono dal lato dell’offerta e delle sue stozzature persistenti). Per l’America settembre e ottobre saranno mesi molto intensi sia per le scadenze politiche sia per il grande esperimento sociale costituito dal venir meno dei sussidi straordinari di disoccupazione legati alla pandemia. Ci sono da una parte più di dieci milioni di persone che verranno spinte a trovarsi un lavoro, mentre dall’altra ci sono altrettante posizioni di lavoro da coprire. Se domanda e offerta troveranno un buon punto d’incontro le pressioni salariali si attenueranno. Se non lo troveranno gli Stati Uniti si troveranno a confrontarsi con i problemi di isteresi (la perdita definitiva di capacità produttiva dovuta al ritiro dal mercato e dall’obsolescenza della forza lavoro disoccupata) che altri Paesi, tra cui l’Italia, conoscono purtroppo bene.

La nostra scommessa di fondo è che la terza fase del paradigma della grande ripresa ha ancora tre trimestri di vita davanti a sé. Le anomalie che continueremo a vedere si manterranno verosimilmente in proporzioni fisiologiche e non mineranno il principio della sovraesposizione all’azionario. Questa sovraesposizione andrà però tatticamente limitata nelle prossime settimane, oltre che per quanto detto sopra, per fattori stagionali e per le scadenze tecniche trimestrali che alimenteranno ulteriore volatilità.

Chi è leggero potrà al contrario approfittare di eventuali cadute in vista di un rialzo per fine anno.

A cura di Alberto Fugnoli, strategist di Kairos

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