Obbligazioni vs politica monetaria: è ancora possibile ottenere rendimento?

Il contesto di incertezza sui mercati continua, legato alle decisioni delle banche centrali, ai dilemmi di politica monetaria, alla retorica utilizzata durante gli appuntamenti fissati. A questo si aggiungono dati macroeconomici non brillanti e sicuramente inferiori rispetto alle aspettative, con attese di crescita a livello globale in netto ridimensionamento.

Si continua a parlare di inflazione e tapering. La prima in aumento, soprattutto in Europa dopo gli ultimi dati pubblicati, che la vedono stanziarsi al 3% a fine agosto contro il 2.7% atteso (a luglio era al 2.2%). La seconda, invece, più incerta. Si parla di riduzione degli acquisti, ma per un vero e proprio tapering le banche centrali sembrano prendere tempo.

Il dilemma di politica monetaria che Fed e Bce stanno affrontando appare dunque chiaro: è necessario tenere maggiormente in considerazione l’inflazione o i segnali di rallentamento macroeconomico?

In questo contesto, il mercato azionario continua a correre. Il mondo obbligazionario, invece, arranca, con high yield americani ed europei con rendimenti al di sotto dell’inflazione, scenario che non si verificava da moltissimo tempo. Gli spread sono infatti molto compressi, e il differenziale fra Spread High Yield e Investment Grade USA si trova sui minimi storici, intorno a 1.9. Ciò continua a contribuire a flussi contenuti, sintomo della scarsa fiducia che gli investitori hanno che il mondo del reddito fisso sia ancora in grado di offrire rendimenti interessanti.

Ma è davvero così? “Non ne siamo conviti – commenta Riccardo Volpi (nella foto), fund manager di Pharus –. Aree in grado di offrire rendimento sono ancora presenti, ma è necessario essere in grado di individuarle, selezionarle correttamente, adottando un approccio volto alla diversificazione e all’abbassamento della duration”. E lasciare i propri capitali fermi, a oziare sui conti correnti, non è la scelta più saggia. In un contesto caratterizzato da inflazione in aumento, interessi sui conti correnti pari a zero e una media di remunerazione dei conti deposito inferiore all’1%, è difficile ottenere rendimenti reali positivi, condizione necessaria per preservare potere d’acquisto.

Eppure, la mole di risparmio immobilizzata sta crescendo vertiginosamente. Gli ultimi dati disponibili di Abi, aggiornati al 31 maggio 2021, parlano di 1.775 miliardi di euro detenuti dagli italiani sui conti correnti.

Investire i propri risparmi, può contribuire a una rivalutazione media annualizzata positiva. Nel lungo periodo, infatti, i mercati finanziari mostrano rendimenti annualizzati non solo positivi, ma anche superiori all’inflazione. Sterilizzando il bilancio dall’effetto pandemia, a fine 2019 le obbligazioni a livello mondiale mostravano un rendimento medio annualizzato negli ultimi 20 anni del 2% (dati del Credit Suisse Global Investment Returns Yearbook 2020), contro un’inflazione media dell’1,6%.

Il reddito fisso, quindi, è stato in grado di battere la liquidità, “e sarà così anche da qui in avanti – puntualizza Volpi –. È infatti ancora possibile trovare rendimenti reali positivi, che mettono al riparo i risparmiatori dalla perdita di potere d’acquisto”. E se si alza leggermente l’asticella del rischio, per esempio guardando ad alcune emissioni dei Paesi emergenti, i rendimenti possono addirittura competere con quelli dei mercati azionari.

Più si alza l’asticella del rischio, però, più è necessario essere selettivi. E in tal senso una gestione attiva può aiutare il risparmiatore a investire in sicurezza.

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