Un dato molto commentato sul mercato del lavoro Usa è quello dei dimissionari: ad aprile scorso il numero ha toccato un livello mai visto storicamente e pari a 4 mln di individui. Questo potrebbe indicare un ottimismo sulla capacità di trovare un nuovo impiego a condizioni economiche migliori, ma anche che molti sono usciti dal mondo del lavoro (sono contati tra gli inattivi) per i più svariati motivi, non ultimo i sussidi di disoccupazione, che spesso sono più elevati degli stipendi offerti. Motivo questo per il quale per esempio l’aumento degli stipendi a bassa qualifica nell’ultimo anno (+6%) è stato superiore alla media dell’intero settore privato (+2,6%). Ma il fenomeno dimissioni si sta estendendo anche ai lavoratori più qualificati: nel settore dei servizi ad aprile hanno lasciato il proprio lavoro 700mila unità, valore mensile più alto mai registrato.
La carenza di lavoratori potrebbe non finire tanto presto: si pensi solo che il tasso di partecipazione al mercato del lavoro è sceso costantemente negli ultimi 20 anni passando dal 67,3% del 2000 al 61,6%.
Inevitabili le ripercussioni a medio/lungo periodo sulla redditività delle imprese che, per mantenere stabili i profitti, si troverebbero costrette ad aumentare i prezzi, contribuendo così a creare insieme alle materie prime, una insidiosa inflazione di medio periodo.
Difficile dire quanto questo scenario possa essere concreto e soprattutto anche quali possano essere le politiche economiche conseguenti. Se così fosse, i mercati finanziari si troverebbero a dover scontare un inedito scenario, fatto da inflazione, rendimenti reali incerti e profitti delle imprese sotto pressione.
A cura di Antonio Tognoli Head of Research di Integrae Sim