Investimenti: le differenze tra Italia e Germania alla luce del Pnrr

In Germania l’indice PMI manifatturiero ha registrato una flessione a 62,2 punti dai 65,9 di agosto. Come noto l’indicatore raccoglie le opinioni dei responsabili acquisti delle aziende per valutare le prospettive dell’economia. La domanda di merci tedesche è molto forte, con una crescita dei nuovi ordini tra le più alte mai registrate ma i livelli di produzione sono limitati in quanto i produttori sono alle prese con grossi problemi di filiera, tanto che la crescita della produzione è inferiore a quella dei nuovi ordini in una misura mai vista in oltre 25 anni di dati della serie storica.

Anche la Germania avrà a disposizione i fondi del Pnrr, che presumibilmente utilizzerà per il consolidamento della finanza pubblica. A differenza dell’Italia, che invece scommette su un complesso di riforme e investimenti, atteso produrre un impatto positivo e persistente sulla crescita del Pil. Il piano della Germania è molto più modesto di quello Italiano e ammonta a 25,6 miliardi di euro, pari a circa lo 0,7% del Pil (un decimo del valore per l’Italia), basandosi solo su trasferimenti e include 40 progetti di investimenti e 27 riforme. Al netto delle dimensioni dei due piani, che riflettono le differenti condizioni macroeconomiche dei due paesi, la differenza tra i due Pnrr emerge guardando alla cronologia indicata per il completamento di riforme e progetti di investimento.

Mentre l’Italia dà priorità alla realizzazione delle riforme e lascia il completamento dei progetti di investimento alla fine del Pnrr, la Germania anticipa sia le riforme sia i piani di investimento. Ciò significa che l’Italia otterrà verosimilmente i fondi più tardi rispetto alla Germania (posto che quest’ultima approvi tutte le riforme indicate in tempo, dato non scontato vista la campagna elettorale in corso).

Sicuramente a differenza dell’Italia, la Germania non ha problemi di bilancio: dopo l’aumento del debito indotto dalla pandemia, il rapporto debito/Pil è di circa il 75% contro il 160% dell’Italia. Occorrerà capire quanto possa essere sostenibile lo stimolo fiscale.

A cura di Antonio Tognoli, Head of Research di Integrae Sim

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