Investimenti: opportunità dal settore moda se sarà più sostenibile

L’industria della moda, negli ultimi decenni, è stato considerata un esempio estremo di insostenibilità, che riflette le colpe dell’economia mondiale e mostra le attività che danneggiano l’ambiente e i settori della società. Oggi però c’è una consapevolezza più diffusa e c’è volontà di cambiare: gli investitori hanno un ruolo chiave in questa trasformazione, guidando i capitali verso la soluzione dei problemi. Ecco di seguito la view e l’outlook sul comparto di Rupert Welchman, portfolio manager Impact Equities di Union Bancaire Privée.

In questi giorni si parla molto dell’importante carbon footprint dell’industria dell’abbigliamento. La supply chain tradizionale di questa industria conta diverse problematiche: impoverimento delle risorse naturali, inquinamento, uso massiccio di energia, emissioni di gas serra. Per non parlare dei dati sul lavoro sottopagato e persino minorile, sull’occupazione precaria e sulle condizioni di lavoro malsane o non sicure. Nello tentativo costante di tenere alti i consumi e abbassare i prezzi, il fast fashion è stato un business affamato di risorse ma ora è tempo che il settore dell’abbigliamento ripensi non solo i suoi processi, ma l’intera filosofia e la sua ragion d’essere.

Una preoccupazione chiave è ovviamente l’impatto dei materiali usati per la produzione di tessuti. La produzione del cotone, che pure è un materiale naturale, biodegradabile e riciclabile, richiede un’enorme quantità di acqua e terra. Il poliestere, la fibra sintetica più comunemente usata per fare vestiti, consuma meno acqua e genera meno rifiuti delle fibre naturali, ma non è biodegradabile e, quando viene lavato, rilascia microplastiche che finiscono nei fiumi e negli oceani e danneggiano la vita marina, danneggiando in ultima istanza l’intero ecosistema di cui anche noi facciamo parte.

Nel mercato delle eco-fibre, da 37,3 miliardi di franchi, sempre più imprenditori stanno lavorando per produrre fibre alternative come la canapa e la pasta di legno, ma anche fondi di caffè e alghe. Si stanno facendo sforzi per riciclare anche le fibre sintetiche, come il PET, per produrre articoli come borse e scarpe. C’è anche un’industria emergente legata alla produzione di coloranti naturali da microrganismi per sostituire i prodotti chimici tossici usati tradizionalmente per trattare e colorare le fibre.

Affinché l’industria della moda diventi circolare, bisogna inglobare la scelta in favore di queste alternative già nella progettazione stessa degli indumenti, sin dal momento della concezione, tenendo presente l’intero ciclo di vita del prodotto, compreso il suo eventuale smaltimento. Anche lo spreco di tessuto all’inizio della produzione, che può raggiungere il 15%, può essere enormemente ridotto semplicemente ottimizzando il design e il taglio.

Tuttavia, per quanto importante, ripensare i metodi di produzione non basta, ma serve anche un cambiamento di mentalità anche tra i consumatori: negli ultimi 15 anni il tasso di utilizzo dei vestiti è calato del 36%, scendendo a soli 10 utilizzi per capo. Secondo Euromonitor International, ogni persona in media acquista 15 capi e due paia di calzature ogni anno. Se siamo disposti a spendere di più per ogni articolo, pagando per la qualità piuttosto che per la quantità, e conservando e indossando i nostri vestiti più a lungo, noi consumatori possiamo avere un impatto enorme. Da segnalare inoltre, soprattutto tra i giovani, un maggiore interesse verso il mercato dei beni di seconda mano e del noleggio. Non c’è dubbio che il consumo consapevole porti benefici culturali, finanziari ed ecologici.

Per quanto riguarda la fine del ciclo di vita di un indumento e il suo smaltimento, l’industria ha bisogno di più coordinamento e di strutture di selezione e riciclaggio su larga scala. Solo l’1% circa dei materiali viene riciclato e 20,5 miliardi di capi vanno in discarica ogni anno. Le modalità di riciclaggio meccanico e chimico si stanno sviluppando, ma servono ancora più investimenti perché diventino mainstream.

Nel complesso, è stato stimato che i miglioramenti nelle fasi di produzione, consumo e fine vita della catena del valore dell’abbigliamento potrebbero portare a un risparmio di circa 174 miliardi di franchi all’anno, rendendo allo stesso tempo più efficiente l’uso di energia e acqua da parte dell’industria, così come le pratiche lavorative.

Il ruolo di primo piano del settore finanziario si comprende proprio alla luce dell’importanza dell’innovazione tecnologica perché questo ammodernamento diventi possibile. Gli investimenti sono il link in grado di convertire iniziative sporadiche in un cambiamento strutturale. Incanalando i capitali verso le aziende innovative a impatto che cercano soluzioni nuove e impegnandosi direttamente con loro per promuovere la collaborazione attraverso l’intera supply chain, gli investitori possono sommare tutti questi sforzi e rendere possibile un cambiamento nell’industria della moda.

Gli investitori a impatto e i consumatori consapevoli – così come la cooperazione tra le aziende di abbigliamento, gli Stati, i legislatori, i regolatori degli standard internazionali sul lavoro, le organizzazioni non-profit, ecc. – possono far sì che il settore dell’abbigliamento realizzi il proprio potenziale e diventi l’industria rispettosa della natura e della società che il mondo richiede.

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