Mercati: oggi dati Usa cruciali per capire il trend dell’inflazione

Giornata densa di dati Usa importanti quella di oggi. Si comincia alle 14:30 con i sussidi alla disoccupazione settimanali (previsti 328mila contro i precedenti 326mila) e i prezzi alla produzione di settembre (previsti crescere dello 0,6% contro 0,7% di agosto) e si prosegue alle 17:00 con le scorte di petrolio, sempre settimanali, attese in flessione di 0,418 mln di barili contro una crescita di 2,35 mln di barili della scorsa settimana. Sono tutti componenti della crescita dei prezzi: l’inflazione.

Come già abbiamo avuto modo di dire, il rischio inflazione non è da sottovalutare perché potrebbe mettere in dubbio la sostenibilità della crescita economica (non traggano in inganno le straordinarie crescite del Pil del 2021).

La relazione fra l’inflazione e la crescita economica è probabilmente uno dei temi più dibattuti nella letteratura economica, anche se è comunemente accettato che l’inflazione sia una delle possibili cause di riduzione del benessere sociale, visto che può generare effetti redistributivi, aumentare il grado di incertezza delle decisioni di consumo e di investimento, rendere più distorsivi i sistemi fiscali, specialmente per quanto riguarda le imposte dirette di natura progressiva. Chiaro che questo può influenzare la crescita economica, anche se in modo diverso da Paese a Paese.

Da un punto di vista strettamente operativo, negli ultimi venti anni il comportamento delle Banche Centrali è stato orientato alla stabilità dei prezzi, quasi a giudicare che gli svantaggi di un’inflazione elevata e variabile superino di gran lunga i vantaggi. In teoria, l’inflazione può esercitare numerosi effetti sull’attività economica, che possono essere positivi e negativi: un’inflazione elevata e variabile può modificare i rendimenti reali delle attività finanziarie e quindi l’accumulazione di capitale. Inoltre, se i sistemi fiscali non sono sufficientemente indicizzati l’inflazione, va ad aumentare il carico fiscale sui redditi esercitando così effetti depressivi sulla crescita.

Gli effetti dell’inflazione sulla crescita diventano incerti nel modello generale di Ramsey dove vengono apposte alcune varianti, quali l’inserimento della moneta nella funzione di utilità o di produzione, il considerare l’offerta di lavoro endogena al modello, l’inserire vincoli cash in advance. Inserendo la moneta nella funzione di utilità, come nel noto saggio di Sidrauski, il tasso di interesse reale e l’intensità di capitale risultano indipendenti dal tasso di inflazione e dal tasso di crescita della moneta, che diventa superneutrale invalidando di fatto l’effetto Tobin. Tuttavia questo risultato non è molto robusto in quanto inserendo ad esempio la moneta nella funzione di produzione, oppure inserendo il tempo libero nella funzione di utilità, si ottengono effetti ambigui. In questi casi l’inflazione potrebbe influenzare anche negativamente il prodotto marginale del capitale riducendone la sua accumulazione. Tale ambiguità rimane anche se la moneta viene introdotta nel vincolo di bilancio come cash in advance.

I modelli di crescita endogena forniscono invece un quadro più chiaro, riuscendo a isolare maggiormente gli effetti negativi dell’inflazione (vedi i lavori di Gomme, Jones e Manuelli). Sempre nell’ambito dei modelli di crescita endogena, De Gregorio evidenzia invece gli effetti dell’inflazione sull’accumulazione di capitale fisico. La moneta viene introdotta nel modello come un veicolo che riduce i costi di transazione per i consumatori e per le imprese. L’inflazione fa ridurre i saldi monetari reali degli operatori, aumentando però i costi di transazione generando effetti depressivi sugli investimenti e sulla crescita.

Monitoriamo quindi attentamente la crescita dei prezzi.

A cura di Antonio Tognoli, Head of Research di Integrae Sim

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