La richiesta fa riferimento a quel gas naturale denominato “Associated petroleum gas”, che si trova nei giacimenti di petrolio e che non viene utilizzato ma disperso nell’aria o bruciato nel processo di estrazione petrolifero. È una risorsa che viene sprecata e che contribuisce a produrre gas serra. L’idea sarebbe quindi quella di utilizzare questo gas per alimentare i data center che si occupano di fare mining di criptovalute. Ciò avrebbe un doppio effetto:
- reperire energia naturale per una attività notoriamente energivora come il mining;
- rispettare l’ambiente.
Questa decisione potrebbe dare un’ulteriore spinta per una regolamentazione in Russia delle criptovalute e delle attività di mining. Dopo il bando della Cina a questo tipo di attività, Kazakistan e appunto Russia sono diventate mete molto ricercate per le aziende cinesi che si occupano di mining e che stanno lasciando il Paese.
Mining alla ricerca di nuove frontiere
Il bando all’attività di mining in Cina, che ospitava circa il 45% del mining mondiale, ha costretto centinaia di aziende di mining a dover emigrare verso altri paesi possibilmente con riserve di energie a sufficienza. Texas, Canada, Russia e Kazakistan sono stati fra i primi a manifestare interesse ad accogliere questi nuovi migranti digitali. In Texas in particolare si è mobilitata l’industria petrolifera e del gas, disposta a mettere le proprie infrastrutture energetiche a disposizione dei minatori di criptovalute.
La proposta della Russia di utilizzare il gas naturale segue la logica della ricerca di nuove fonti di energia rinnovabile, come energia nucleare o solare, per superare il problema dell’enorme consumo di energia di questa attività.