Investimenti e Halloween, sette grafici che vi faranno paura

Quest’anno i mercati finanziari hanno mostrato una notevole resilienza dopo le turbolenze del 2020, malgrado l’incertezza ancora persista. Il Public Fixed Income Team di M&G Investments illustra di seguito sette grafici da paura destinati a scuotere gli animi degli investitori.

Sono stati due anni spaventosi… ma può sempre andare peggio!

In questi due anni, abbiamo visto i governi del mondo intraprendere importanti passi avanti nella lotta al riscaldamento climatico. Si tratta di un cambiamento epocale rispetto a cinque o dieci anni fa. I criteri ESG rappresentano oggi una componente imprescindibile di ogni strategia d’investimento.

Ciò che preoccupa di questa transizione, per un investitore obbligazionario, è il rischio legato ai cosiddetti “stranded asset”. Se si finanzia per 30 anni una società che estrae petrolio, quale garanzia ho di recuperare l’importo finanziato una volta giunti a scadenza? D’altra parte, mantenere l’investimento nel tempo consente di influenzare le società incoraggiando scelte responsabili.

Altro aspetto allarmante: in una fase in cui il mondo ha disperatamente bisogno di ridurre le emissioni globali, queste in realtà stanno aumentando. Il picco delle emissioni è, o non è, stato raggiunto? Questo decennio sarà decisivo e dobbiamo sperare che l’imminente COP 26 di Glasgow serva a fare concreti passi avanti.

I debiti di Evergrande rappresentano quasi il 2% del PIL cinese

A settembre la notizia della crisi di Evergrande, la più grande società immobiliare cinese, ha scosso i mercati obbligazionari globali.

Anche se al di fuori dell’High Yield asiatico per ora non sembra esserci stato alcun contagio, è allarmante rilevare che le passività di Evergrande rappresentano quasi il 2% del PIL cinese. A titolo di riferimento, l’indebitamento di Apple rappresenta lo 0,5% del PIL USA (passività correnti pari a 107,7 miliardi di dollari vs 21.400 miliardi di dollari di PIL).

Ciò ha indotto la PBoC a rassicurare i mercati circa la capacità di contenere il crollo. In modo sinistro, il calo dei titoli immobiliari asiatici ci ricorda che le obbligazioni possono essere strumenti estremamente volatili, anche in presenza del supporto di una banca centrale. Qualora in futuro la PBoC decida di non sostenere il settore immobiliare, assisteremo a flessioni più violente con default a catena. Dall’inizio dell’anno l’indice del segmento immobiliare asiatico High Yield ha ceduto il 30%.

Una recessione inquietante: pressioni sulla forza lavoro ai massimi pluridecennali

Uno dei fattori più angoscianti per gli investitori quest’anno è stato senza dubbio il paventato ritorno dell’inflazione. Benché per il futuro pochi si aspettino un’inflazione a doppia cifra, vi è il rischio potenziale di tassi più elevati rispetto a quelli osservati negli ultimi decenni.

Come illustrato nel grafico in basso a sinistra, la recessione è stata davvero sconvolgente. Di norma le recessioni non conferiscono forza ai lavoratori, come invece sembra essere successo quest’anno, caratterizzato da segnali di rigidità sul mercato del lavoro e imprese in gara tra loro per assicurarsi i dipendenti. Non a caso, l’indice “Jobs Hard to Fill” della National Federation of Independent Business è ai massimi storici.

La pressione salariale, di pari passo di altre pressioni inflazionistiche, potrebbe gettare benzina sul fuoco traducendosi in un’inflazione più alta rispetto a quella cui siamo stati abituati ultimamente. Il grafico a destra sembra confermare che i consumatori scontano tale possibilità.

Prezzi del gas da brivido

A proposito di inflazione, gli attuali prezzi del metano fanno rabbrividire chiunque debba riempire il proprio serbatoio questo trimestre.

Da inizio anno, i prezzi sono saliti del 292%, vale a dire 94 volte il tasso d’inflazione nel Regno Unito e in misura decisamente maggiore rispetto alla crescita dei salari britannici, pari al 7,1%. I dati non sono meno allarmanti guardando all’Europa: i prezzi del gas sono aumentati di 85 volte il tasso d’inflazione nell’area euro e in maniera ampiamente superiore alla crescita dei salari europei, pari a -0,4%. Negli Stati Uniti, si arriva a 54 volte il tasso d’inflazione americano, molto al di sopra della crescita dei salari statunitensi del 9,5%.

Una bombola di gas costava 580 sterline, con prezzi futures intorno a 50 dollari USA… Ora, con i prezzi prossimi a 230 dollari, i dati fanno davvero paura.

Il costo delle spedizioni è triplicato rispetto all’inizio del 2020: un effetto “transitorio”?

Molti hanno definito l’inflazione “transitoria”. Vi sono svariati motivi per crederlo, ma riflettere su tale eventualità non fa certo stare tranquilli.

Oltre alle aziende che sono uscite dal mercato e quindi alla concorrenza in un quadro recessivo, i costi delle spedizioni continuano a rimanere elevati, esercitando ulteriori pressioni inflazionistiche sul fronte dell’offerta. Alla luce di costi di spedizione triplicati rispetto a due anni fa, possiamo dire che l’inflazione sia davvero transitoria come molti credono?

E se i beni rifugio non ci proteggono più?

Guardando ai numerosi rischi macro all’orizzonte, gli investitori possono ancora fare affidamento sui beni rifugio tradizionali per proteggersi?

Tradizionalmente, lo yen giapponese ha rappresentato una valuta a basso rischio, con una correlazione piuttosto bassa agli asset rischiosi e addirittura negativa alle obbligazioni High Yield, ai mercati emergenti e ad altri asset a beta elevato, su un orizzonte di lungo termine. Oggi però la valuta giapponese ha perso smalto mentre il dollaro USA si è rafforzato. Perché?

Molte le ragioni, tutte preoccupanti. In primo luogo, solitamente un cambio di leadership non è positivo dal punto di vista valutario, almeno inizialmente. Poi, lo yuan cinese è rimasto pressoché invariato, malgrado la volatilità post Evergrande. La Repubblica Popolare Cinese vuole avvalorare la tesi secondo cui lo yuan possa diventare la prossima valuta di riserva asiatica, ovvero che il cambio CNY/JPY rappresenta un’opportunità di acquisto. Poiché l’economia cinese è a sua volta sempre più influente per il Giappone, gli elevati prezzi delle importazioni condizionano gli equilibri dell’arcipelago. Le esportazioni giapponesi in Cina hanno ora raggiunto volumi più elevati rispetto a quelle verso gli USA di vent’anni fa, pertanto la debolezza dell’economia cinese grava sia sul Giappone che sulla sua valuta.

In terzo luogo, nello scenario di rialzo dei tassi negli USA, il dollaro potrebbe rappresentare ora un’opportunità di acquisto. Lo yen giapponese si è deprezzato a fronte dell’aumento dei Treasury e i differenziali dei tassi d’interesse si contraggono, in quanto la banca centrale del Giappone mantiene una politica accomodante. Le valute a basso rendimento ora saranno tutte in difficoltà rispetto al dollaro, mentre altre (come il franco svizzero) hanno recuperato in termini di differenziali di tassi facendo perdere lustro allo yen.

Ci troviamo dunque di fronte alla strana combinazione di un contesto estremamente volatile con notevole incertezza ma una tesi di stagflazione o di dollaro USA più forte, che è negativa per lo yen giapponese.

La differenziazione settoriale del mercato del 2020 è scomparsa

Le valutazioni sui mercati obbligazionari sembrano molto contratte. Un esame più approfondito dei mercati del credito europei evidenzia l’esistenza di uno spread sorprendentemente contenuto tra le valutazioni di settori diversi tra loro.

Al culmine del sell-off da Covid nel marzo 2020, il mercato presentava una netta differenziazione in termini settoriali. Nel comparto industriale europeo, non sorprende che i settori più sensibili a un peggioramento delle prospettive di crescita (automobilistico, energia e industria di base) siano rimasti significativamente indietro rispetto all’indice delle obbligazioni societarie in euro (linea bianca). Al contempo, i settori destinati a beneficiare di tassi più bassi (utilities), maggiore domanda di servizi sanitari (sanità) e che favoriscono la transizione verso nuovi modi di vivere e lavorare (tecnologia) si sono dimostrati più resilienti.

Ora, sulla scia della lenta contrazione degli spread creditizi durante l’anno, il mercato non sembra differenziare molto, con una dispersione che si è ridotta di cinque volte. Un segnale che i mercati del credito stanno diventando troppo compiacenti? O è giustificato in un contesto di bassi tassi di default? Sicuramente, è inquietante osservare il livello raggiunto dalle valutazioni pur in presenza del Covid.

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