Fondi low cost? No, grazie!

Il primo a lanciare la proposta era stato Marcello Messori. Il presidente di Assogestioni, a inizio anno, aveva indicato tra le possibili soluzioni alla crisi del risparmio gestito «la produzione e distribuzione di strumenti finanziari innovativi che siano semplici e a basso costo e che, come tali, siano in grado di soddisfare i profili di rischio e le esigenze di investimento previdenziale e di lungo termine di un’ampia fascia di risparmiatori» (si legge nel working paper dell’associazione pubblicato a gennaio 2008, ndr).

Ma la via dei fondi low cost non sembra aver entusiasmato le SGR. Nel rapporto del gruppo di lavoro sui fondi comuni italiani, promosso da Banca d’Italia, pur facendo riferimento alla questione costi, non si fa riferimento esplicito alla via del low cost. La riduzione dei costi passa attraverso la proposta della Consob di dematerializzare i fondi comuni, proposta inizialmente non gradita dalla stessa Assogestioni. Nel report, però, si parla di piattaforme tecnologiche e non di quotazione, un perfetto compromesso tra le esigenze dell’associazione delle SGR italiane e l’autorità di vigilanza.

 
Ma che fine hanno fatto i fondi low cost? Oggi la politica della semplicità e dei costi contenuti continua a riguardare principalmente i prodotti di liquidità, per i quali è in atto una vera e propria guerra che ha visto l’ingresso del gruppo Mediobanca con il conto deposito firmato CheBanca!, che anticipa gli interessi. 

Lo scenario cambia completamente se guardiamo l’offerta dei fondi comuni. In questo ambito sono pochissime le società che hanno scelto la via del low cost, e tra queste spiccano Ing Direct, che a inizio giugno ha lanciato il fondo a capitale protetto Borsa Protetta Arancio che prevede zero spese (ad eccezione, naturalmente, dei costi di gestione), e Banca Mediolanum, che con Double Chance unisce il concetto di conto deposito con l’investimento diretto in fondi.
 
In un tale scenario le nozze tra low cost e risparmio gestito sembrano ancora lontane. Se si osservano i dati della ricerca sull’industria dei fondi condotta dall’ufficio studi di Mediobanca emerge chiaramente come oggi il costo di gestione medio di fondi e sicav italiani abbia registrato un andamento non proporzionale all’andamento delle performance offerte. Dagli anni Novanta al 2007 non si è mai scesi al di sotto del 1,3% sul fronte oneri di gestione, neanche in fasi di rendimenti negativi.

E nel 2007 il ter medio dei fondi in Italia è risultato superiore all’1,75% (fonte Bluerating.com), tra i più alti d’Europa. Raggiungendo anche il 4,8%, come nel caso del fondo Consultinvest Azione, lanciato nel 1996 da Consultinvest Asset Management SGR. Mentre tra i più “economici” spiccano, neanche a dirli, i fondi di liquidità, come Anima Liquidità. Il fondo di Anima SGR alla fine del 2007 vantava un ter dello 0,19%. Cifre alla mano il low cost italiano rischia di essere ancora troppo elevato se paragonato agli altri paesi del vecchio continente. 

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