Asset allocation: attenzione ai riflessi della fiducia dei consumatori Usa

La fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan (in uscita oggi), sebbene venga pubblicato più tardi rispetto all’indice Conference Board, è considerato più attendibile, soprattutto per la capacità di segnalare l’avvicinarsi della debolezza economica.

Il leggero miglioramento atteso rispetto ad ottobre arriva però dopo una continua discesa: lo scorso giugno, l’indice era pari a 85,5 punti. L’indice dell’Università del Michigan è importante per gli operatori dei mercati, perché la fiducia incide sui consumi, che negli USA rappresentano oltre il 70% del PIL.

Diversi gli effetti sugli investimenti

Se la fiducia cresce molto, e oltre le attese dei mercati, i prezzi delle obbligazioni possono risentirne. Questi di solito scendono quando salgono inflazione e tassi di interesse. Inoltre, un livello di consumi troppo alto, soprattutto se l’economia sta già utilizzando ampie porzioni di capacità produttiva, può generare inflazione che, a sua volta, può spingere in alto i rendimenti richiesti dagli investitori e quindi in basso i prezzi delle obbligazioni.

Diversi gli effetti sulle azioni. L’economia in crescita premia, di solito, i mercati azionari. Più consumi vuol dire più attività per le imprese e più profitti. La loro crescita attrae investitori e fa crescere i corsi azionari (ovvio che occorre valutare da che livello si parte). Incrementi della fiducia dei consumatori, soprattutto se superiori alle attese, hanno quindi un effetto positivo sui mercati azionari.

Infine le valute. La quotazione del dollaro è influenzata dall’andamento dell’economia e dal livello dei tassi di interesse. Fiducia alta può voler dire crescita dei consumi e dell’attività produttiva e crescita dei tassi di interesse. Se la fiducia dei consumatori è alta, il dollaro può crescere.

La flessione dai massimi di giugno e la leggera crescita rispetto ad ottobre, possono anche essere lette positivamente come l’avvio della lenta e graduale fase di normalizzazione della crescita del PIL, del prezzo delle materie prime e dell’energia voluta dalla FED e dall’Amministrazione USA. Nessuno infatti scommetterebbe su di una crescita media annua sostenibile del PIL del 5-6%. Discorso un po’ più complesso per le materie prime e soprattutto per l’energia. Perché se continua ad essere vero che il loro prezzo è guidato dalla domanda e dall’offerta, queste ultime possono subire variazioni che dipendono da shock esterni non controllabili e non dipendenti dall’attività ecnomica. Un caso su tutti quello dell’alluminio. Diciotto mesi fa, in pieno lockdown, una tonnellata di alluminio costava circa 1.500 dollari. A fine settembre, un contratto con consegna a tre mesi è passato di mano a 3.000 dollari. Il doppio esatto (oggi siamo a 2.600 dollari). Va da se che a favore del metallo hanno giocato le robuste prospettive future, grazie al suo ruolo nella transizione verso l’energia pulita e al giro di vite della Cina sulle emissioni nelle sue industrie ad alta intensità energetica.

L’ultimo e più importante salto è stato però guidato dai disordini politici in Guinea, una fonte chiave di fornitura di bauxite, materia prima utilizzata per fare l’allumina, che viene successivamente trasformata in alluminio. La Guinea, spesso chiamata l’Arabia Saudita della bauxite, detiene la riserva più grande del mondo insieme alla Cina. Quest’ultima è il più grande produttore di alluminio al mondo e si approvvigiona per oltre la metà del suo fabbisogno di bauxite proprio dalla Guinea. La situazione politica di quel paese spinge al rialzo un metallo già guidato dalle prospettive di una forte domanda che aumenta il deficit visibile in Cina e in Occidente. Difficile stimare i disordini politici in Guinea.

L’aumento dei prezzi delle materie prime ha tuttavia anche dei risvolti stimabili. La transizione ecologica sulla quale sembrano convergere gran parte delle maggiori economia al mondo, comporterà infatti una crescente domanda di cadmio, tungsteno e cobalto (preziosi per esempio per le batterie dell’auto elettrica). E ancora, le conseguenze del cambiamento climatico che sconvolge i raccolti delle soft commodities (cereali in testa), l’evoluzione dei prezzi dell’energia (petrolio e gas naturale) e tutto quello che può comportare un aumento dell’indice delle materie prime, che infatti a metà settembre aveva toccato i massimi e si mantiene a livelli elevati. La domanda è se si tratta di un rialzo temporaneo (occorre però chiedersi temporaneo quanto), come la FED e la BCE lasciano intendere, oppure i prezzi delle materie prime sono destinati non solo a rimanere elevati, ma addirittura ad aumentare. E che effetto avrà tutto questo sulla dinamica dei tassi di interesse, oggi ai minimi per sostenere un’economia ancora convalescente, ma insidiati dall’inflazione in salita?

Non abbiamo la risposta. Pur essendo confidenti sulla continuazione del trend positivo dei mercati azionari, ribadiamo di aspettarci un aumento della volatilità. Ci sentiamo quindi di suggerire di assumere meno rischi rispetto al passato e di continuare a diversificare gli investimenti.

A cura di Antonio Tognoli, Head of Research di Integrae Sim

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