Asset allocation: l’inflazione alimenta la fiamma dell’oro e delle altre commodity

L’indice dei prezzi al consumo (CPI) degli Stati Uniti è aumentato del 6,2% nel mese di ottobre 2020, segnando il più alto livello di inflazione dal 1990. La cifra, rilasciata il 10 novembre 2021, ha superato il consensus di Bloomberg del 5,9%. Il mantra della banca centrale che l’inflazione sia transitoria sta diventando sempre più difficile da accettare.

“Il fatto che il mercato continui ad essere sorpreso dall’inflazione indica che manca qualcosa nelle aspettative del mercato stesso”, avverte Nitesh Shah, Head of Commodities & Macroeconomic Research di WisdomTree Europe, che aggiunge: ” “Crediamo che gli shock dal lato dell’offerta siano più grandi e più persistenti di quanto il mercato si aspettasse. I segni rivelatori dei colli di bottiglia dell’offerta sono disseminati nei dettagli, compresi i prezzi elevati dell’energia e delle auto. Anche i servizi stanno mostrando aumenti di prezzo su larga scala che indicano una carenza di manodopera”.

Quando si tratta di attività che possono coprire contro l’inflazione, le materie prime si distinguono storicamente come vincitori. “Questa asset class ha il beta dell’inflazione più forte di tutti gli asset che abbiamo analizzato. Batte le attività che si suppone siano strutturalmente legate all’inflazione, come i TIPS, i titoli del Tesoro USA protetti dall’inflazione”, fa però notare Shah, che di seguito illustra la propria view.


Le materie prime sono probabilmente lo strumento di copertura perfetto per il contesto attuale, data la natura di ciò che sta guidando l’inflazione. Il beta delle materie prime rispetto all’inflazione inattesa è ancora più forte del suo beta rispetto all’inflazione attesa. Se i driver dell’inflazione oggi sono inaspettati, allora le materie prime sono il posto dove dirigersi.

Finora quest’anno l’oro ha deluso. Storicamente è stato una grande copertura per l’inflazione, specialmente durante i periodi di inflazione elevata. Considerando che l’ultimo anno si è contraddistinto per l’inflazione elevata, avrebbe avrebbe dovuto essere il momento per il metallo di brillare. Non è stato però all’altezza della sua reputazione. Tuttavia, dopo la stima dell’inflazione CPI statunitense del 6,2%, l’oro ha iniziato a muoversi fortemente al rialzo, sfondando i 1860 dollari/l’oncia intraday, il 10 novembre, per la prima volta in 5 mesi. Anche i rendimenti del Tesoro USA a 10 anni sono saliti dall’1,46% all’1,56% mercoledì 10 novembre e il paniere del dollaro USA (DXY) è salito da 93,96 a 94,84 lo stesso giorno, fermando l’ascesa dell’oro.

Resta da vedere se l’oro si è scrollato di dosso il cattivo umore ed è tornato al suo comportamento normale. I nostri modelli interni di previsione indicano che con questa forza dell’inflazione, l’oro dovrebbe essere scambiato più vicino a 2.300 dollari/l’oncia. Riconoscendo la potenziale forza del dollaro statunitense e l’aumento dei rendimenti del Tesoro che probabilmente deriveranno dal percorso di inasprimento della politica monetaria della Federal Reserve (sia in termini di riduzione degli acquisti di obbligazioni che di futuri segnali di aumento dei tassi), l’oro potrebbe non arrivare a 2.300 dollari/l’oncia, ma potrebbe ancora salire a 1.900 dollari/l’oncia entro la fine di quest’anno solare.

Il 4° trimestre 2021 è un momento cruciale per l’oro per mettersi alla prova. Speriamo certamente che la rilevazione dell’inflazione al 6,2% funga da defibrillatore per riportare in vita il metallo.

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