Mercati, l’inflazione non è per sempre

Di seguito un commento sull’inflazione a cura di Ariel Bezalel, Head of Strategy, Fixed Income di Jupiter AM.

L’inflazione resta un fenomeno transitorio post-Covid e sta mettendo sotto pressione le banche centrali, dice Ariel Bezalel, Head of Strategy, Fixed Income.

L’inflazione resta un fenomeno transitorio post-Covid. Mentre ci avviciniamo al 2022, l’economia globale è destinata a rallentare bruscamente, guidata in gran parte dalla Cina. L’aumento dell’inflazione sta mettendo sotto pressione le banche centrali che rischiano di fare un errore: accelerare la stretta monetaria proprio quando l’economia mondiale sta rallentando.

L’inflazione ha continuato a correre a livelli elevati negli ultimi mesi, praticamente ovunque si guardi: la stampa finanziaria è piena di titoli del tipo “inflazione ai massimi da 30 anni”. Sempre più spesso vediamo commentatori influenti che chiedono alle banche centrali di accelerare i piani di aumento dei tassi. Infatti, mentre la Federal Reserve e la Banca Centrale Europea sono rimaste fermamente accomodanti finora, la banca centrale della Nuova Zelanda presa dal panico ha optato per una stretta   e le azioni contraddittorie della Banca d’Inghilterra mostrano un certo livello di preoccupazione oltremanica

Resto del parere che gran parte dell’inflazione a cui stiamo assistendo oggi sia spinta da fattori transitori che hanno a che fare con le riaperture post Covid. I rallentamenti dell’offerta causati dalla pandemia si stanno dimostrando molto più difficili da risolvere di quanto io e molti altri immaginassimo, e possono continuare per il prossimo anno, ma non dureranno per sempre. Allo stesso modo, il Covid ha causato disagi nel mondo del lavoro, il che ha spinto l’inflazione salariale ai massimi livelli. Anche in questo caso, se si guarda alla superficie, il costo medio del lavoro per unità di prodotto non è effettivamente aumentato. Mi aspetto di vedere le pressioni salariali ridursi man mano che sempre più persone torneranno al lavoro. Infatti, negli Stati Uniti, in generale, la produttività ha superato tranquillamente il compenso orario reale.

La politica sta diventando un ostacolo alla crescita

Ritengo ci siano una serie di venti contrari alla crescita con l’avvicinarsi del prossimo anno, e c’è un rischio reale che i timori legati all’inflazione costringano le banche centrali ad accelerare il ritmo della stretta proprio quando l’economia globale sta rallentando. Questo potrebbe causare una battuta d’arresto alla ripresa l’anno prossimo.

Mentre la politica monetaria potrebbe restare accomodante rispetto a qualsiasi standard storico, il ritmo di espansione dei bilanci delle banche centrali si è praticamente fermato. Inoltre, la crescita della massa monetaria è diminuita in tutte le principali economie. In Cina, l’aggregazione monetaria M2 è fondamentalmente tornata ai minimi storici a poco più dell’8% su base annua.

Inoltre, uno dei fattori chiave della ripresa è stato l’incredibile livello di stimoli fiscali, in particolare negli Stati Uniti. Nel 2022, gli Stati Uniti dovrebbero invece sperimentare una stretta significativa su questo fronte. In effetti, in tutte le economie del G4 stiamo per assistere a una stretta monetaria e fiscale di circa 5-7 trilioni di dollari, l’equivalente del PIL del Giappone. Vale anche la pena ricordare che il pacchetto di infrastrutture recentemente annunciato dagli Stati Uniti sarà distribuito su molti anni e che, dato lo stato precario delle infrastrutture statunitensi, questa somma di spesa non avrà un impatto materiale sulle aspettative future del PIL, a nostro parere. I governi hanno difficoltà ad allocare il capitale in modo efficiente e, purtroppo, ritardi, superamento dei costi e perdite di qualunque tipo o forma tendono a essere una caratteristica regolare.

Una delle conseguenze dell’aumento dei prezzi che abbiamo visto quest’anno è l’impatto materiale che esso ha avuto sulla fiducia dei consumatori: i sondaggi dei consumatori statunitensi sulla spesa in beni durevoli mostrano che le condizioni di acquisto sono crollate a livelli mai visti dai primi anni ’80. Inoltre, la spesa per beni durevoli è salita alle stelle durante la pandemia, poiché i consumatori hanno speso i soldi che hanno risparmiato durate i lockdown in elettrodomestici e migliorie per la casa. Quell’ondata di spesa si è esaurita, e sebbene ci aspettiamo una maggiore spesa nei servizi, il comparto che vale 800 miliardi di dollari non può compensare quello dei beni durevoli che a causa dell’inflazione è arrivato a valere 2mila miliardi di dollari, un po’ gonfiato.

Finora la volatilità nell’immobiliare cinese è stata limitata alla Cina: abbiamo visto almeno sei default, e oltre il 40% delle obbligazioni high yield cinesi è scambiato sotto i 50 centesimi di dollaro. Il governo cinese sta cercando attivamente di ridurre l’indebitamento eccessivo del comparto immobiliare interno in quanto sovraindebitato, e pensiamo che questa volatilità possa continuare per un po’ di tempo. Perché è importante? Il settore, con circa 60 mila miliardi di dollari, è per certi versi la più grande asset class del mondo. Ancora più importante, l’80% della ricchezza delle famiglie cinesi è concentrata nel settore immobiliare, rispetto a solo il 15% degli Stati Uniti e il 60% del Giappone ai massimi da prima del crollo immobiliare giapponese alla fine degli anni ’80.

Mi aspetto che questa crisi immobiliare si propaghi nel resto del mondo. La domanda cinese di importazioni sta già soffrendo perché i cinesi indirizzano i loro guadagni alla ricostruzione dei risparmi persi. Vedo anche segnali incipienti di un rallentamento nell’Europa dell’Est, che è un indicatore della domanda cinese perché gran parte della produzione industriale dell’Europa occidentale è concentrata in quella regione. In effetti, stiamo anche vedendo i primi segni di un rallentamento in corso in Germania. Attualmente è difficile valutare se questo sia dovuto al riemergere del Covid o al rallentamento della Cina, ma è un aspetto da osservare con attenzione.

Guardando al 2022, vedo significativi venti contrari per l’economia globale, mentre la domanda cinese rallenta e alcuni dei fattori a supporto come la politica fiscale e la domanda repressa che hanno sostenuto l’economia dopo la pandemia iniziano a svanire. Le banche centrali stanno affrontando allo stesso tempo un’enorme pressione per normalizzare la politica monetaria, e questa pressione sta aumentando dato che l’inflazione continua ad avvicinarsi al target.

Il recente appiattimento che abbiamo visto in alcune aree del mercato obbligazionario – che implica che mentre i rendimenti a breve termine sono saliti, quelli a lungo termine sono scesi – indica, a nostro parere, che la crescita e l’inflazione saranno probabilmente controllate. Negli Stati Uniti, l’inversione in corso nella curva di breakeven (le aspettative di inflazione a lungo termine sono più basse di quelle a breve termine) indica anche che l’inflazione non è persistente nel lungo termine. A mio parere, i mercati obbligazionari percepiscono le difficoltà economiche provenienti dalla Cina e sono preoccupati che le banche centrali rischino di commettere un errore adottando politiche restrittive in presenza di un rallentamento e di un picco d’inflazione e potrebbero finire per dover tornare a politiche più accomodanti a un certo punto del prossimo anno.

Sui portafogli, ritengo che a questi livelli i rendimenti dei titoli di Stato dei mercati sviluppati in luoghi come l’Australia e gli Stati Uniti siano interessanti e abbiano margine di  ribasso nel medio termine. Tuttavia, agiscono anche come una buona ancora al rischio in portafoglio. Continuiamo a trovare opportunità interessanti nel mercato del credito, basandoci sull’analisi dei fondamentali, ma recentemente ne stiamo riducendo il rischio preferendo le obbligazioni a scadenza più breve. Siamo cauti sui mercati emergenti data la situazione in Cina, ma vediamo un’opportunità per i titoli di Stato cinesi, che mi aspetto aumentino di valore quando la Cina sarà costretta ad adottare una politica più accomodante.

 

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