Investimenti: gli scenari di fronte alla nuova variante Omicron

Ed ecco spuntare la nuova variante Omicron che con un colpo di spugna mette fuori gioco tutte le ipotesi di crescita economica e di inflazione che si potevano immaginare.

Che succede ora?

Possiamo ovviamente abbozzare alcuni scenari. Intanto occorre capire se la nuova variante “buchi” i vaccini attuali e, nell’ipotesi positiva, quanto tempo occorre per sviluppare un nuovo vaccino e somministralo alla popolazione. Nello scenario peggiore, è possibile che il tempo consenta alla tumultuosa crescita dei prezzi e allo shortage di materie prime di risolversi in qualche modo da soli. Se “post pandemia” le banche centrali sperimentavano già qualche problema a muoversi sul terreno inedito della crescita economica, la stabilità dei prezzi e l’occupazione (alla FED si rimprovera di essere dietro la curva), la nuova variante complica ulteriormente lo scenario. Se l’obiettivo rimane la crescita economica, allora appare possibile che le banche centrali possano riprendere le politiche monetarie ultra espansive e/o sospendere il taperings, se dovesse servire. Vedremo.

I mercati, che nel frattempo si aspettavano la chiusura dell’output gap entro la fine del 2022 e facevano affidamento sul supporto degli utili, sono presi in contropiede e si trovano ora a fare i conti con un nuovo scenario. Un panorama caratterizzato da una riduzione della crescita economica forse più marcata delle aspettative, costi di produzione crescenti e rivendicazioni salariali che cominciano a farsi concrete: è di questi giorni la notizia secondo la quale i dipendenti della BCE hanno chiesto l’indicizzazione delle retribuzioni all’inflazione.

Sono convinto che l’inflazione sia vicino al suo massimo di periodo, il che non significa che i prezzi cominceranno a scendere, ma che la crescita dei prezzi rallenterà. Ma sempre di crescita stiamo parlando. Questo significa che probabilmente nei prossimi anni l’inflazione rimarrà al di sopra degli obiettivi delle banche centrali (fatto salvo lo spostamento degli stessi, come qualcuno comincia ad ipotizzare).

A tassi nominali invariati, quelli reali sono quindi destinati a rimanere negativi (anche se i prezzi comunque crescenti tenderanno a portarli più vicino allo zero). I loro movimenti sono stati dominati dai flussi di liquidità delle banche centrali e disallineati rispetto ai fondamentali economici in un contesto riconducibile ad uno scenario Goldilocks, come quello sperimentato nel 2017, caratterizzato da un mix di crescita modesta e bassa inflazione che ha consentito politiche monetarie espansive per lungo tempo.

Finora i prezzi degli asset rischiosi hanno goduto del calo dei rendimenti reali, ma se le banche centrali sono impegnate a ridurre la liquidità del sistema e per questa via a rallentare l’inflazione, allora lo scenario potrebbe cambiare molto rapidamente. Considerato che gli obiettivi delle banche centrali sono quelli di sostenere l’economia e stabilizzare i prezzi, nel nuovo scenario si trovano in una posizione molto difficile.

Se per esempio guardiamo al premio per il rischio (ERP) del mercato azionario USA, notiamo come questo sia molto generoso rispetto al contesto economico (circa l’1,5% sopra la sua media storica), a causa del basso earnings yield rispetto al passato. Nel caso in cui i tassi reali si stabilizzassero ai livelli attuali o diventassero meno negativi, la normalizzazione dell’ERP avverrebbe solo in presenza di un ulteriore calo degli earnings yield, che si verificherebbe però solo se cresce il P/E che a sua volta può risultare o da una crescita dei prezzi (difficile con lo scenario ipotizzato relativo ai tassi reali) o una diminuzione degli utili delle aziende quale conseguenza di uno scenario di stagnazione.

A cura di Antonio Tognoli, Head of Research di Integrae Sim

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