Investimenti, tapering e tassi: appuntamento con la Fed il 14 dicembre

E’ bastata mezz’ora perché l’inflazione diventasse meno transitoria del previsto e i rischi diventassero ufficialmente reali (devo dire che qualche sospetto l’avevamo anche prima). Il punto è capire perché è cambiata la strategia comunicativa e quali implicazioni ci sono dietro questa affermazione.

Per bocca di Powell, il primo effetto è che il tapering potrebbe accelerare, ma a ruota (aggiungiamo noi) a questo punto pure i tassi potrebbero aumentare prima del previsto.

Di questo e di altro alla FED ne parleranno al prossimo meeting previsto per il 14-15 dicembre. Secondo Powell, le ragioni sono riconducibili alle strozzature dell’offerta e ai prezzi dell’energia elevati cui si sommano i possibili effetti della variante omicron che minaccia di compromettere la ripresa economica e complicare i piani per contenere l’aumento dei prezzi. In altre parole, Powell non ha fatto altro che prendere atto quello che il mercato si aspettava da tempo, anche se ha tenuto a puntualizzare come il termine transitorio fosse riferito agli effetti permanenti dell’inflazione e non alla durata del tapering (ovviamente maggiore è il tempo e maggiori sono gli effetti).

Non siamo però sicuri che la soluzione sia quella accorciare i tempi del tapering e magari alzare i tassi prima del 2023. Tra l’altro laddove si riconosca che nel 2022 l’inflazione possa calare per il venir meno degli squilibri tra domanda e offerta. La paura è quindi diversa e riguarda i salari che, come i beni, sono governati da domanda e offerta, in questo caso di lavoro. Ma, diversamente dal prezzo di un bene, una ripresa della partecipazione al mercato del lavoro richiede tempi lunghi e inoltre difficilmente i salari una volta cresciuti possono ridursi. Attualmente (breve periodo) i salari sono sotto pressione a causa di una scarsa offerta a fronte di una domanda impetuosa derivante dalla ripresa economica. Una soluzione per ridurre l’inflazione indotta dalla maggiore disponibilità salariale è quella di ridurre il loro potere d’acquisto, ovvero lasciare crescere i prezzi (da valutare l’effetto dell’illusione monetaria).

Difficile però governare il sistema monetario avendo contemporaneamente come obiettivo la crescita economica, il controllo dei prezzi e l’occupazione. Da qui la domanda è: quale sarà la scelta della FED tra tenere i tassi reali negativi (ben sapendo che sono sempre meno sostenibili) e favorire la crescita e quindi l’occupazione ma accettare un’inflazione maggiore, oppure portare i tassi reali in territorio positivo smorzando gli effetti inflazionistici, ma sacrificare la crescita e l’occupazione.

Esisterebbe anche un altro sistema per aiutare a tenere sotto controllo la crescita dei prezzi, anche se gli effetti sono visibili nel medio periodo: ridurre la velocità di circolazione, che poi è quello che è successo negli ultimi anni.

I tassi reali negativi hanno portato a uno sganciamento dei prezzi da quelli che si definiscono i fondamentali degli assets. Siccome gli investitori guardano avanti, si interrogano per capire quale sarà la mossa della FED. Nell’ipotesi di graduale (molto graduale) ritorno ai valori positivi pre-pandemia, ovvero inferiori all’1% ma positivi, i mercati azionari dovrebbero beneficiarne, con minore vigore rispetto all’ultimo anno e con maggiore volatilità. Viceversa, l’ipotesi di un veloce avvicinamento allo zero innalzerebbe il rischio intrinseco del mercato che, a parità di tutte le altre condizioni, non troverebbe altra via che ridurre i prezzi per adeguare il rendimento al maggior rischio richiesto.

A cura di Antonio Tognoli, Head of Research di Integrae Sim

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