Investimenti: i due motivi di ottimismo dalla COP26 secondo Schroders

Dopo la firma dell’Accordo di Glasgow – e l’accoglienza contrastata che ha ricevuto – vale la pena fermarsi un attimo per riflettere su alcuni dettagli dell’intesa raggiunta durante le due settimane della COP26. “Il focus principale è giustamente quello della riduzione delle emissioni di carbonio. Ma vi sono altri due sviluppi che alimentano in particolar modo le speranze: il capitale naturale e i mercati del carbonio”. Ad affermarlo è Peter Harrison, Group CEO di , che di seguito illustra nel dettaglio la view.

Il capitale naturale come strumento nella lotta contro il cambiamento climatico

L’emergere del capitale naturale come asset investibile rappresenta un nuovo potente strumento nella lotta climatica.

Il concetto risale a diversi decenni fa. Nel mezzo della crisi energetica del 1973, l’economista Ernest Friedrich Schumacher citò per primo il ‘capitale naturale’, esprimendo il bisogno di trattare le risorse come un capitale non rinnovabile piuttosto che un reddito spendibile.

Ma solo oggi, di fronte a una nuova crisi energetica e al peggioramento dell’emergenza climatica, il suo potenziale per combattere il riscaldamento globale è stato compreso più ampiamente.

La maggior parte dell’attenzione è stata rivolta al modo in cui il mondo riduce le emissioni – dall’industria pesante, all’agricoltura, ai riscaldamenti domestici – mentre al ruolo che può svolgere la natura è stata riservata meno considerazione. Sir David Attenborough ha riassunto così l’opportunità prima della COP: “La natura ha poteri straordinari in grado di assorbire il diossido di carbonio e fornire aria e acqua pulita, aiutando a proteggerci dalle inondazioni e dagli eventi climatici estremi, e generando cibo per sostenerci”.

Gli asset manager possono agire da catalizzatori del cambiamento

Il potenziale grezzo della natura può essere sfruttato solo se il suo valore reale viene riconosciuto e contabilizzato.

La Natural Capital Investment Alliance lanciata da Sua Altezza il Principe del Galles rappresenta un passo importante di questo percorso. I 15 membri del gruppo hanno o avranno tutti veicoli di investimento che aiuteranno a indirizzare il capitale verso progetti focalizzati sulla natura.

È questo di cui abbiamo bisogno. Fino ad oggi, il driver è stata la filantropia: le donazioni vengono impiegate per proteggere progetti di ONG nelle foreste pluviali del Sudamerica o nelle riserve marine in Asia. Ma la loro portata è limitata. Immaginate cosa si potrebbe fare in più se tali progetti potessero attirare non solo donatori, ma investitori. Se anche solo una frazione degli oltre 100.000 miliardi di dollari gestiti dagli asset manager fossero incanalati verso i mercati del capitale naturale, il contributo agli sforzi di mitigazione sarebbe massiccio.

Perché funzioni, gli investitori hanno bisogno di rendimenti validi e sostenibili. A questo proposito, c’è un secondo progresso da notare. I crediti di compensazione del carbonio sono sempre più utilizzati dalle aziende e dai governi per mitigare la loro impronta. Il valore dei crediti scambiati salirà probabilmente a 1 miliardo di dollari quest’anno.

La necessità di una governance globale

Serviranno sforzi maggiori per unificare questi mercati sotto un insieme di valori e standard coerenti. Ciò sta avvenendo con la guida di Mark Carney, inviato speciale delle Nazioni Unite per l’Azione sul Clima e la Finanza, ed ex Governatore della Bank of England. La sua ‘Taskforce on Scaling Voluntary Carbon Markets’ ha iniziato a stabilire una governance globale per il mercato. La City di Londra, con il suo posizionamento globale, può e deve diventare un facilitatore nel creare dei mercati del carbonio solidi.

Tali mercati aiuterebbero a dare vita al prezzo del capitale naturale. I progetti che rafforzano la biodiversità e creano benefici per le comunità locali – non solo assorbendo più carbonio – meritano un grado maggiore di credito di carbonio. La domanda di crediti premium probabilmente aumenterà e il potenziale di rendimento diventerà più chiaro. Non ci dobbiamo dimenticare che prima di tutto siamo responsabili verso i risparmiatori. Il denaro delle loro pensioni va investito per ottenere il risultato migliore, per il loro futuro e per quello della società.

Inoltre, per gli investitori capaci di individuare le aree con il maggior potenziale in termini di valore, i progetti di biodiversità possono acquisire interesse come investimenti: ad esempio, alcuni territori che potrebbero essere ritenuti più adatti per il rewilding o la conservazione per via di una flora particolare o della topografia locale. Oppure potrebbe esserci l’opportunità di unire alcuni appezzamenti di terra per creare dei corridoi per la fauna selvatica. Abbiamo lavorato in questo senso con la Natural Capital Research, uno spin-off dell’Università di Oxford per sviluppare tale competenza.

Se si riuscirà a raggiungere una scala sufficiente con la creazione dei mercati naturali, verranno attirati ancora più investimenti. Il supporto da parte dell’industria del risparmio gestito è cruciale. Proprio come lo è stato l’accordo sulla deforestazione, dove le istituzioni finanziarie responsabili si sono impegnate a sradicare la silvicoltura dannosa dalle catene di approvvigionamento delle aziende su cui investono e alle quali forniscono capitali.

Nessuno di questi provvedimenti risolverà da solo la crisi climatica. Gli investimenti nella natura e i crediti di carbonio non possono sostituire una riduzione rapida e profonda delle emissioni nella catena del valore di ogni singola azienda. Possono però aiutare ad aumentare le probabilità che gli Accordi di Parigi, e speriamo anche di Glasgow, vengano rispettati.

È in corso una rivoluzione silenziosa

Sono incoraggiato dal potenziale dei liberi mercati di offrire un cambio di passo nella conservazione della natura. Troppo spesso il capitalismo è oggetto di critica nel dibattito sul clima, mentre il suo potere grezzo potrebbe e dovrebbe puntare all’obiettivo unificante di limitare l’aumento delle temperature a 1,5°C sopra i livelli pre-industriali. Questo è solo un esempio di come l’industria può andare oltre il profitto.

Negli investimenti ambientali è in corso una rivoluzione silenziosa che farà la differenza.

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