Asset allocation: ecco i cambi di rotta che ci attendono nel 2022

Dopo l’impennata dei prezzi dell’energia nel 2021, l’inflazione inizia ad essere motivo di vera preoccupazione. Il prezzo del petrolio ha raggiunto il suo livello più alto dal 2014; il prezzo dei futures sul gas naturale del Regno Unito è più che triplicato; persino il prezzo del carbone, solitamente poco apprezzato, è più che raddoppiato.

“Dal momento che le banche centrali di tutto il G7 continuano a rispondere al Covid con una politica monetaria altamente espansiva, non bisogna stupirsi della crescita generalizzata delle pressioni sui prezzi. In parte, questo risultato è frutto di una crescita superiore alla media a seguito della pandemia: il FMI prevede che l’economia globale crescerà del 5,9% nel 2021 e del 4,9% nel 2022, il tasso biennale più elevato da oltre di 50 anni. Il nostro scenario più verosimile sui rendimenti attesi prevede un’inflazione moderata, una pressione transitoria sui prezzi e una crescita ragionevole; lo scenario di stagflazione rimane molto improbabile”. Ad affermarlo è Peter van der Welle, strategist del team Multi Asset di Robeco, che di seguito illustra nel dettaglio l’outlook per l’anno prossimo.

Anche il mercato obbligazionario può offrire indizi sulla reale portata dell’inflazione. Basandoci sulla forma della curva dei rendimenti, gli investitori obbligazionari non sembrano temere particolarmente l’inflazione. Per gli Stati Uniti, condividiamo appieno le stime consensuali che prevedono un dimezzamento dell’inflazione tra il primo e il quarto trimestre del 2022. L’incidenza decrescente degli aumenti dei prezzi dell’energia su base annua farà diminuire l’inflazione primaria e, nel complesso, il calo dell’inflazione core non ciclica si contrapporrà alla crescita dei prezzi causata dai vincoli all’offerta. D’altra parte, sembra che un nuovo adeguamento salariale potrebbe rafforzare l’inflazione core, soprattutto perché il mercato del lavoro statunitense punta a raggiungere la piena occupazione entro la metà del 2022. Sarà interessante vedere quale forza prevarrà, ma nel complesso è probabile che i numeri dell’inflazione scendano dagli attuali livelli elevati.

Gli investitori possono aspettarsi che le banche centrali giochino un ruolo importante negli sviluppi economici quando i tassi inizieranno a salire e gli stimoli saranno rimossi. Speriamo che si riaffermerà l’indipendenza delle banche centrali, anche se improbabile, vista l’attuale necessità del finanziamento del debito pubblico. Ci aspettiamo comunque una Fed più morbida, dato che Biden deve sfruttare la nomina dei tre membri del FOMC per plasmare la politica. Potrebbe nominare membri più moderati o persone attente al mercato del lavoro che cambieranno gli equilibri del comitato. Dato che nel primo trimestre ci sarà un ridimensionamento del quantitative easing, pensiamo che la Fed vorrà attendere di vederne gli effetti prima di alzare i tassi di interesse. Inoltre, per evitare di essere accusata di compiere mosse politiche, nelle sei-otto settimane che precedono le elezioni di metà mandato non vorrà muovere nulla, sebbene un aumento anticipato a molto prima delle elezioni potrebbe accendere in Biden qualche speranza, perché affronterebbe il problema dell’inflazione.

Anche i mercati del lavoro giocheranno un ruolo maggiore, poiché la grave carenza di lavoratori in settori chiave consente ai lavoratori di ambire a salari più alti. Il prossimo anno, secondo noi, i mercati del lavoro influiranno più dell’azione delle banche centrali, almeno nelle economie sviluppate. Le banche centrali dispongono degli strumenti per affrontare l’inflazione attraverso la domanda aggregata, ma contenere la crescita dei salari è molto più difficile perché una volta raggiunta la piena occupazione i lavoratori hanno più potere contrattuale. Molte economie denunciano carenze significative di manodopera, come si è visto con la mancanza di camionisti nel Regno Unito e in Europa, raddoppiando di conseguenza i salari di alcune fasce di lavoratori.

Le materie prime sono spesso considerate un investimento indiretto sui mercati emergenti, che in molti casi sono altamente dipendenti dalla produzione e dal prezzo dei minerali. In termini di asset allocation andrebbero invece ancora considerati come due asset a sé stanti. I mercati emergenti sono ancora fortemente dipendenti dalla Cina e dal fatto che i cinesi possano far cambiare direzione alla loro economia. È una scommessa sulla Cina al pari degli altri investimenti. Investire nei mercati emergenti significa anche assumere un’elevata esposizione alle materie prime, e dalla nostra prospettiva top-down preferiamo un’esposizione alle materie prime anziché un investimento nei mercati emergenti.

È importante ricordare che i prezzi dei titoli value e growth evidenziano marcati scarti di valutazione tra i mercati emergenti e quelli sviluppati. Un cambio di leadership durante una fase rialzista è molto raro; da investitori saremmo quindi più propensi a continuare a puntare sui settori vincenti. Una questione correlata è il ritorno in auge dello stile di investimento value, che dallo scorso anno è presente in certa misura nella maggior parte dei portafogli dei mercati emergenti. Lo stile value consiste in un approccio più a buon mercato di quello growth ma, quando la liquidità abbonda, le valutazioni influenzano in misura inferiore il processo decisionale degli investitori, anche se lo scenario attuale offre poche opportunità di sovraperformance dei titoli growth a questi livelli più onerosi. Data la relativa sensibilità alla duration dei titoli growth, prima di cambiare le allocazioni avremmo bisogno di osservare un aumento più marcato dei rendimenti effettivi lunghi (mentre nel 2022 non prevediamo che un modesto aumento). Intanto, permangono stimoli che favoriscono i titoli growth rispetto a quelli value.

Oltre all’esaurimento del ciclo di espansione del credito cinese, vorremmo osservare un deprezzamento del biglietto verde, che potrebbe ugualmente richiedere del tempo. Probabilmente avverrà nella seconda metà del 2022, visti i differenziali di tasso positivi o crescenti che favoriscono gli Stati Uniti alla vigilia della stretta Fed. In definitiva, ci sorprenderebbe molto, nel 2022, osservare una sovraperformance dei titoli dei mercati emergenti rispetto alle azioni dei mercati sviluppati o ai titoli growth. Resteremo fedeli a quello che pensiamo sarà il risultato economico, anche se le cose cambiano molto rapidamente; l’anno prossimo potremmo patire uno shock deflazionistico. Se iniziassimo a rilevare prezzi che non ci convincono, assumeremmo una posizione più contrarian. Bisogna rimanere aperti a diversi possibili scenari inflazionistici, in un clima generale di incertezza macroeconomica ancora elevata da una prospettiva storica. Ciò significa che potremmo assistere a importanti cambi di rotta sui mercati, di cui beneficiare nel 2022.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!