Asset allocation: meglio i titoli che i settori

I principali indici azionari si apprestano a chiudere l’anno con performance a doppia cifra, con l’area statunitense che si sta portando a casa il guadagno maggiore. Senza considerare l’impatto del cambio EUR/USD, l’S&P 500 segna quasi +25 punti percentuali e l’indice tecnologico NASDAQ circa il +16%. Entrambi gli indici sono rappresentati da aziende a grande capitalizzazione e, in diversi casi, dai cosiddetti titoli Growth. Questi ultimi fanno riferimento a business ad alto potenziale di crescita e sono generalmente sopravvalutati dal mercato per via di un rapporto tra il prezzo e gli utili sopra la media (ad esempio i tech).

Con riferimento all’S&P 500, abbiamo posto a confronto le performance dei Growth con i titoli Value, che sono sottovalutati dal mercato e in genere appartengono ai settori più maturi dell’economia (ad esempio quello finanziario). Dunque, nel caso delle Large Cap USA, i Growth battono i Value di circa 10 punti percentuali.

Al contrario, se prendiamo gli indici Russell 2000 e MidCap 400, rappresentativi delle Small e Mid Cap USA, i Value battono largamente i Growth tra il 10 e il 20%. Si osservi che quest’anno alcuni titoli Growth tecnologici, che nel 2020 avevano beneficiato quasi esclusivamente dai lockdown, hanno perso anche più della metà del proprio valore, poiché non generano profitti e nel 2022 i costi del debito potrebbe salire. Infatti, l’overperformance dei Growth sopra menzionata è guidata principalmente dalle Mega Cap, che hanno potuto contare sulla propria capacità di generare utili di qualità e dunque risultano meno sensibili alla normalizzazione della politica monetaria. Se prendiamo il Nasdaq, inoltre, escludendo le dieci aziende più grandi, tra cui Apple, Amazon, Alphabet, e Microsoft, l’indice registra una performance largamente inferiore al 10%. Pertanto, gli Investitori tengono conto delle valutazioni di mercato, poiché titoli Value delle piccole e medie aziende USA hanno ottenuto i migliori risultati, ma riteniamo che anche selezionando le aziende più care (non solo Mega Cap!) può essere premiante. Tuttavia, il focus dovrebbe andare esclusivamente sulle aziende con una moderata leva finanziaria, in modo da ridurre l’impatto di un rialzo dei tassi di interesse sull’intera struttura del capitale.

Uno sguardo al 2022 con i meeting delle banche centrali

A Dicembre le principali Banche centrali hanno tenuto l’ultimo meeting dell’anno, determinante per valutare come si caratterizzeranno le politiche monetarie del 2022. Potremmo identificare due gruppi: da un lato, quelle che cominciano ad assumere un tono meno accomodante, ovvero nella maggior parte dei casi, mentre dall’altro quelle che il prossimo anno manterranno ancora un atteggiamento espansivo.

La Federal Reserve, la Bank of England e la Norges Bank, in particolar modo, hanno dato inizio concretamente alla normalizzazione. Secondo quanto dichiarato dal Presidente Jerome Powell, il mercato del lavoro ha ottenuto un buon recupero rispetto ai livelli pre-pandemia, con il tasso di disoccupazione che è sceso al 4,2%, pertanto è arrivato il momento di assumere un controllo più proattivo sull’inflazione. Il ritmo del tapering, come già atteso, è stato aumentato da 15 a 30 miliardi al mese, con il termine degli acquisti fissato a Marzo 2022, e in base alle stime il prossimo anno verranno effettuati tre rialzi dei tassi di interesse. La Banca d’Inghilterra, con maggior sorpresa, ha già deciso un aumento del costo del denaro di 25 punti, dopo che l’ultimo dato sull’inflazione ha segnato il +5,1% annuo, ovvero il più alto livello degli ultimi dieci anni. La Norges Bank, infine, ha annunciato il secondo rialzo in tre mesi, incrementando il tasso principale da 0,25 a 0,50%. Dal punto di vista della BCE, invece, le prospettive appaiono diverse. Il PEPP terminerà, ma gli acquisti, seppur in misura inferiore, continueranno attraverso un incremento del programma ordinario di Quantitative Easing (APP). Guardando più avanti, le previsioni della Banca centrale per il 2023 e per il 2024 indicano un tasso di inflazione inferiore al target del 2% e l’economia tedesca, che pesa per circa il 30% su quella europea, potrebbe subire un rallentamento della ripresa a causa delle ultime restrizioni. Per il 2022, dunque, il paradigma dei mercati azionari cambierà: i banchieri centrali inietteranno meno liquidità sui mercati e gli Investitori dovranno essere maggiormente selettivi. La selezione dei migliori titoli, rispetto ai settori, sarà ancora più importante rispetto al 2021 ed i mercati premieranno solo le aziende che produrranno utili e flussi di cassa in modo consistente. Le società vincenti saranno coloro che riusciranno a mantenere una buona marginalità, ribaltando l’inflazione sui prezzi dei prodotti finali e “neutralizzando” gli effetti dei maggiori costi sui finanziamenti.

A cura di Giacomo Calef, Country manager di NS Partners

 

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