Mercati: le rotazioni e il divorzio tra Fomo e Tina

Il principe Grigorij Aleksandrovic Potemkin (1739-1791) è stato una figura di rilievo della storia russa. Amante e forse sposo segreto dell’imperatrice Caterina, è stato un grande stratega militare, ha allargato l’impero verso il Mar Nero e ha fondato numerose città, tra cui quella Sebastopoli che oggi ospita la flotta russa dei mari caldi e che Putin si è ripreso dagli ucraini insieme al resto della Crimea.

Nonostante i meriti, la fama di Potemkin è oscurata da quella della corazzata a lui intitolata, protagonista dell’ammutinamento che dette il via alla rivoluzione del 1905 e alla quale Eisenstein dedicò un celebre film. Quasi sicuramente calunniosa è poi la storia che il principe fosse solito abbellire i luoghi che l’imperatrice si apprestava a visitare riverniciando le facciate dei palazzi o addirittura costruendo ordinati villaggi finti come quelli dei set cinematografici.

Da allora, in ogni caso, villaggio Potemkin è entrata nell’uso come espressione di qualcosa di bello ma finto e ben si adatta, quindi, a descrivere la borsa americana degli ultimi mesi.

Dietro alla facciata di un indice forte grazie a un numero sempre più esiguo di titoli che hanno continuato a salire si è infatti consumata l’erosione progressiva, in alcuni casi molto pronunciata, di tutti gli altri. L’erosione è stata più sensibile nei settori speculativi, dai meme stocks agli stay at home, ma ha coinvolto anche una parte rilevante della tecnologia e dei ciclici. Anche i finanziari sono ben sotto i massimi per effetto di un curva dei rendimenti sempre più piatta che dovrebbe erodere il loro margine d’interesse.

Al di là delle rotazioni interne, in ogni caso, gli indici sembrano avere un solido baricentro che dovrebbe continuare a funzionare anche nei prossimi mesi. Questa solidità è impermeabile all’inflazione, anche perché le imprese, in un contesto di crescita sia pure intermittente hanno buon gioco nello scaricare a valle gli aumenti dei costi. Solo un aumento marcato dei tassi, in proporzioni tali da compromettere la crescita dell’economia, potrebbe mettere in discussione il baricentro. Il mercato scommette però, con ragione, sul fatto che le banche centrali rimarranno deliberatamente dietro la curva. Se l’inflazione scenderà, bene. Se non scenderà, si farà qualcosa, ma meno di quello che sarebbe necessario per fermarla.

Gli aumenti dei tassi previsti per l’anno prossimo provocheranno una modesta contrazione dei multipli che sarà però compensata dalla crescita degli utili. In pratica gli indici non dovrebbero allontanarsi molto dai valori attuali. Quanto alle rotazioni, i difensivi verranno premiati in presenza di nuove ondate pandemiche e conseguente rallentamento della crescita, mentre il resto del mercato, e in particolare i ciclici, verrà premiato nelle fasi di tregua della pandemia, che saranno accompagnate da rimbalzi ancora forti della crescita.

L’andamento più laterale degli indici e il ridursi progressivo dell’ampiezza del mercato hanno già iniziato a produrre il divorzio tra i due acronimi che hanno sintetizzato la fase di grande rialzo delle Borse, Fomo e Tina. Fomo infatti se ne è andato per la sua strada e ci ha lasciato, Tina è invece rimasta con noi. La rincorsa ai rialzi (la fear of missing out di Fomo) è sempre meno visibile o ha comunque il fiato più corto di una volta. La mancanza di alternative all’azionario (il there is no alternative di Tina) rimane invece il tema dominante. Tina funziona perfino nel reddito fisso, dove gli investitori dedicati, talvolta sovvenzionati dalle banche centrali come nel caso delle banche ordinarie, comprano comunque titoli ad ampio rendimento negativo perché non hanno alternative. Il caso più clamoroso è quello dei Bund, che offrono un rendimento tuttora negativo pur in presenza di un’inflazione tedesca sopra il cinque per cento.

La forza del baricentro delle Borse è tale che potrebbe reggere abbastanza bene perfino di fronte ai due rischi maggiori che sono oggi percepibili, quello di un conflitto tra Russia e Ucraina e quello di una crisi energetica conclamata in Europa.

I due rischi, sia chiaro, avrebbero conseguenze negative per l’inflazione e per la crescita, ma verrebbero attutiti dalla fiscalizzazione dei maggiori oneri per l’energia e dalla sospensione del processo, già cautissimo, di normalizzazione monetaria.

Il conflitto russo-ucraino, d’altra parte, è solo una possibilità, non una certezza. Per la Russia si tratterebbe un’operazione rischiosa (soprattutto per motivi di consenso interno) mentre gli Stati Uniti, al di là della durezza negoziale di facciata, non hanno interesse a spingere ancora di più la Russia nelle braccia della Cina.

Anche una gestione politica e diplomatica della crisi, tuttavia, non eviterà che il gas continui a essere un’arma di pressione russa nei confronti dell’Europa. La crisi energetica europea, d’altra parte, non è dovuta solo al gas russo. Ha cause naturali (fa più freddo del solito e c’è poco vento per l’eolico), cause accidentali (i guasti ai reattori nucleari francesi) e cause politiche (la svolta antirussa tedesca per effetto dell’ingresso dei Verdi al governo e la volontà, anche questa dei Verdi, di chiudere comunque nei prossimi mesi alcune centrali nucleari perfettamente funzionanti). L’effetto della crisi energetica, cui vanno aggiunti omicron e il permanere della crisi delle filiere produttive, provocherà un arresto della crescita industriale tedesca nelle prossime settimane.

Ci sono per fortuna anche notizie positive. La crescita del quarto trimestre è stata ottima, l’Asia è in ripresa, la Cina ha adottato misure di rilancio e la crisi energetica è limitata alla sola Europa.

Per prudenza, in ogni caso, sarà bene, per qualche settimana, dare un profilo più difensivo alla componente azionaria, senza per questo abbassarne il peso nei portafogli. La primavera, augurabilmente, ridurrà gli effetti della crisi energetica e della pandemia e ridarà spazio a ciclici e crescita.

A cura di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos

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