Investimenti: nel 2022 si tornerà a comprare (anche) obbligazioni

“Ci troviamo alle battute finali di un 2021 che si lascerà alle spalle degli eventi unici per quanto riguarda i mercati finanziari. Dall’azionario mondiale, che sta totalizzando un guadagno di oltre il +20%, ai prezzi del petrolio, con le quotazioni che sono salite fino a quasi il +50%. Invece, un tema meno discusso, ma comunque interessante, attiene alla curva dei tassi di interesse“. A farlo notare è Giacomo Calef, Country manager di NS Partners, che di seguito illustra nel dettaglio la view.

Si osservi il rendimento del Treasury USA a 30 anni: prima della fase pandemica non era mai sceso sotto il 2%, mentre oggi si posiziona attorno all’1,8%. Questi livelli sono gli stessi dello scorso Gennaio, ma l’inflazione statunitense su base annua registrava un 1,4% invece che il 6,8%, e gran parte dell’economia mondiale era ancora bloccata. Secondo le aspettative, dunque, i grandi detentori di bond dovrebbero liquidare massivamente le proprie posizioni, poiché gli attuali rendimenti non sono sufficienti a coprire l’inflazione, neanche prendendo in considerazione le scadenze più lunghe.

Tuttavia, ciò non sta accadendo e per comprenderne il motivo dobbiamo analizzare le principali ragioni per cui i grandi investitori comprano obbligazioni. La maggior parte di essi, in realtà, non si pone l’obiettivo di ottenere dei guadagni con il titolo a 10 o 30 anni, ma attribuisce altre due funzioni ai bond. La prima è quella di rafforzare gli indicatori di patrimonializzazione necessari per coprire le passività di bilancio, come nel caso dei grandi investitori istituzionali quali i Fondi pensione e le compagnie assicurative. Ad esempio il fondo pensione Oslo Pensjonsforsikring (OPF) da €12,6 miliardi di euro mantiene il 50% dei propri asset investiti stabilmente in obbligazioni ed offre una solidità molto importante ai propri sottoscrittori, cioè i lavoratori della città di Oslo, con una copertura delle passività del 500% (Solvency Ratio). La seconda funzione, invece, mira solamente a mitigare la volatilità dei portafogli, mentre la performance degli investimenti viene prodotta soprattutto dai titoli azionari oppure dalle strategie attive Long/Short.

ulla base di tali considerazioni, pertanto, si ritiene che, nonostante l’anno prossimo la Federal Reserve possa rialzare il costo del denaro, la curva rimanga stabile: nei primi mesi del 2022 il rendimento del Titolo di Stato USA a 10 anni dovrebbe rimanere nel range attuale, tra l’1,25 ed l’1,75%, per poi incrementare gradualmente tra il 2 e il 2,5% nel 2023. Queste previsioni, inoltre, sono utili per analizzare le valutazioni del mercato azionario e per comprendere se sono troppo elevate.

E-commerce e logistica: il dirompente mercato asiatico

La crisi pandemica ha accelerato i cambiamenti della struttura del commercio globale, con l’Asia che sta assumendo un ruolo sempre più centrale grazie alla maggiore penetrazione dell’online. Il numero dei consumatori digitali in Indonesia, ad esempio, è incrementato del 15% rispetto allo scorso anno e, se proiettiamo le stime dal 2020 al 2025, possiamo osservare che il 57% della crescita globale del mercato della logistica per l’E-Commerce avverrà nell’Asia-Pacifico.

Questo contesto rappresenta un’opportunità per i maggiori player dei trasporti, che nel 2021 hanno beneficiato soprattutto dell’aumento dei noli marittimi, ma il prossimo anno potrebbero subire una flessione con la normalizzazione della domanda globale. Le aziende di logistica, dunque, dovranno diversificare il proprio business per mantenere un vantaggio competitivo, come nel caso del Gruppo danese Maersk. Quest’ultimo trasporta circa un quinto di tutti i container a livello mondiale e ad oggi l’80% dei ricavi, che in totale ammontano a circa $60 miliardi, viene prodotto dalle operazioni marittime. Infatti, l’obiettivo dell’azienda sarebbe quello di incrementare il fatturato della distribuzione nell’entroterra fino a raggiungere la metà del totale. Per fare ciò Maersk sta per finalizzare l’acquisizione di LF Logistics per un valore di $3.6 miliardi di dollari, ovvero una società ben radicata proprio sul territorio asiatico. In questo modo otterrebbe il controllo di un network di 223 centri di distribuzione in Asia, di cui 44 in Cina, con linee di attività specializzate su industrie differenti. Ad esempio per il settore healthcare vengono offerti servizi conformi alla ISO 13485, ovvero la  norma internazionalmente riconosciuta per i sistemi di gestione qualità dei dispositivi medici.

Per il settore dell’abbigliamento, invece, l’azienda dispone di un sistema di automazione “goods-to-picker”, che prepara efficientemente gli ordini costituiti da prodotti di diversa dimensione. Ma anche i player situati in Cina si stanno potenziando: la società di logistica cinese Cainiao, appartenente ad Alibaba, ha stretto una partnership con la piattaforma di E-Commerce Lazada, in modo da dimezzare i tempi di consegna dalla Cina al Sud-est asiatico. Infatti il mercato retail online della “Southeast Asia”, che riguarda soprattutto Thailandia, Singapore, Malesia e Filippine, sta registrando tassi di crescita dirompenti, con un +85% lo scorso anno e nuovi 70 milioni di consumatori online che si sono aggiunti da inizio pandemia.

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