Mercati: gli Usa restano un passo avanti rispetto all’Europa

La vigorosa ripresa economica Usa si è portata dietro un’inattesa crescita dei prezzi che preoccupa non poco la Fed e l’amministrazione di Washington, soprattutto perché sembra in grado di rimettere in moto la pericolosa spirale salari/prezzi: il tasso di disoccupazione è sceso a dicembre al 3,9% (vicino ai minimi), ma con un aumento di sole 199 mila unità.

In sintesi, la domanda di lavoro trova sempre meno offerta ai salari correnti. Quindi, un aumento dell’occupazione può essere ottenuto solo a salari crescenti. Il punto da stabilire è crescenti quanto.

Crediamo tuttavia che il picco dell’inflazione sia stato sostanzialmente raggiunto, e che il tasso di crescita possa ridursi già a partire dalla seconda metà dell’anno. Questo non significa che i prezzi scenderanno, ma che cresceranno meno. In altre parole, i prezzi rimarranno elevati andando ad erodere sempre di più il potere d’acquisto di famiglie ed imprese e annullando parzialmente i benefici della politica monetaria accomodante degli ultimi anni.

Per gli USA il punto è proprio questo, la capacità di spesa dei cittadini. Considerato che gli USA sono sostanzialmente indipendenti da un punto di vista energetico, grazie al gas e al petrolio di shale, l’inflazione non attacca tanto il costo delle materie prime quanto la spesa per beni o servizi. Nel corso del 2022 e maggiormente l’anno successivo, cominceranno ad essere visibili anche gli effetti degli stimoli fiscali messi a punto dalla Casa Bianca, tesi a far crescere gli stipendi, creare nuovi posti di lavoro e aumentare la domanda di beni e servizi, surriscaldando però i prezzi. Sicuramente la FED ha fatto i conti per capire la quantità di moneta e la velocità di circolazione corrette del sistema alla luce degli stimoli fiscali in arrivo, in modo da consentire una crescita sostenibile del PIL. Ma l’economia non è una scienza esatta e i comportamenti soggettivi potrebbero riservare sorprese.

Discorso diverso in Europa, dove sembra improbabile che la BCE segua la FED. La presidente ha infatti ribadito che alla luce dei dati valuta l’attuale picco di inflazione come transitorio per la nota trinità: l’effetto di confronto con il dato molto basso dell’anno precedente, i prezzi energetici più alti e i colli di bottiglia nella produzione. Le pressioni salariali sono ancora contenute e non intravediamo elevate aspettative di incremento. Un rialzo dei tassi nel 2022 è quindi da ritenersi al momento altamente improbabile.

A cura di Antonio Tognoli, Head of Research di Integrae Sim

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