Investimenti: i tre principali rischi in Europa della guerra in Ucraina

Come è messa l’economia Europea e a quali rischi economici è esposta a seguito della crisi Ucraina? La risposta dipende molto dalla durata della crisi. Se questa sarà breve, allora l’impatto dovrebbe essere relativamente limitato. Ma se viceversa dovesse protrarsi a lungo, allori gli effetti potrebbero essere una minore crescita economica e una più elevata inflazione (in altre parole ci avviciniamo alla stagflazione).

Nell’ipotesi di breve, l’aumento dei prezzi dovuto ai problemi delle catene dell’offerta e dell’energia è con ogni probabilità di carattere temporaneo e non deve essere combattuto con manovre di politica monetaria che ben poco possono fare, come abbiamo visto recentemente con i problemi nelle filiere di approvvigionamento globali causati dal COVID.

Sull’economia Europea la crisi Ucraina ha tre impatti principali

Il primo è quello delle relazioni commerciali: oggi, la Russia rappresenta meno del 3% delle esportazioni complessive dei Paesi Euro, percentuale che è andata calando rapidamente negli ultimi anni. Le conseguenze per l’export europeo dovrebbero quindi essere di entità trascurabile.

Il secondo impatto riguarda invece le relazioni finanziarie: i crediti verso la Russia delle banche della zona euro pesano per l’1% circa del PIL e costituiscono il 2% circa del totale dei crediti delle banche esposte. Anche in questo caso l’impatto sarebbe limitato.

Ultimo punto le materie prime, che sicuramente è il più importante. Il nostro modello indica che un rincaro duraturo del petrolio del 40% porterebbe a una riduzione della crescita del PIL Europeo di circa 0,4 – 0,6 punti percentuali. Da valutare l’impatto economico di tutte le altre materie prime non energetiche come per esempio l’alluminio o il palladio, ma anche il grano. Un punto a nostro favore riguarda il fatto che le importazioni europee di gas russo sono oggi quasi dimezzate rispetto al 2021: delle 4 rotte di importazione attive, solo Nordstream 1 lavora di fatto a pieno regime (la rotta Turca ha dimensione poco significative). Nell’immediato è difficile però fare a meno del gas Russo. Risulta infatti piuttosto complicato sostituire velocemente l’approvvigionamento dalla Russia con quello proveniente da altri Paesi, come Stati Uniti o Qatar.

L’inizio delle ostilità ha pesato anche sui mercati finanziari Russi che hanno reagito in modo molto più forte rispetto al 2014 a seguito dell’annessione della Crimea: le azioni hanno perso in pochi giorni oltre il 50% del proprio valore, il rublo si è svalutato del 15% circa contro dollaro e il premio dei CDS sulla Russia a 5 anni di 540 bp.

Se guardiamo l’andamento delle Borse nei periodi più recenti e assimilabili alla guerra in Ucraina (invasione del Kuwait nel 1991 e conflitto in Iraq del 2003) osserviamo che dopo la prima fase di vendite generalizzate, i mercati sono rimbalzati con forza anche se la tensione non si era ancora del tutto attenuata. La discesa dei listini ha fatto tornare i PE a livelli interessanti, soprattutto sugli utili 2022 la cui crescita si mantiene, per il momento, importante. Questo significa che potrebbe non mancare molto prima che si presentino le condizioni giuste per ricomprare rischio, non dimenticando tuttavia di monitorare attentamente l’evoluzione della situazione in Ucraina.

Che il 2022 non sarebbe stato un anno semplice per i mercati finanziari lo si era capito anche prima della crisi Ucraina. La nuova crisi geopolitica va ad aggiungere incertezza ad uno scenario reso già di suo poco chiaro dal ritiro più rapido del previsto degli stimoli monetari e dalla comunicazione erratica da parte delle banche centrali.

Ribadiamo la nostra strategia basata sull’acquisto/vendita di volatilità, investendo in rischio a piccole dosi e privilegiando per il medio termine quelle società che producono cassa e hanno una redditività superiore a quella media del proprio settore.

A cura di Antonio Tognoli, Head of Research di Integrae Sim

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