Criptovalute, la guerra dimostra che il Bitcoin è la “moneta del popolo”

Il Washington Post l’aveva già definita la prima guerra crittografica della storia. Lo scorso venerdì 11 marzo, la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen, nel quarto pacchetto di sanzioni anti-russe, annunciato come il più duro di tutti, ha fatto un passo in avanti, introducendo il divieto di usare crypto asset per evitare le sanzioni. “Impediremo al gruppo vicino a Putin e agli architetti della sua guerra di usare questi asset per aumentare e trasferire la propria ricchezza”. Non si conoscono i dettagli della misura, ma è probabile che sarà impedito a un gruppo preciso di persone che apertamente sostengono Putin (tra cui Roman Abramovich) di fare operazioni in bitcoin e affini. In questo scenario, ecco di seguito la view di Andrea Medri, founder e ad di The Rock Trading.

Il ruolo del Bitcoin nella guerra in Ucraina

Di certo, in questa guerra, per la prima volta nella storia, bitcoin ha un suo ruolo fondamentale che si gioca a livello di sistema. Al momento il prezzo è stato poco influenzato dai venti di guerra, scendendo di poco più del 12% a ridosso dello scoppio delle ostilità e più che recuperando il terreno perso in pochi giorni. Il prezzo è tuttavia solo una conseguenza della reazione emotiva sui mercati, reazione che ha colpito duramente innanzitutto la Borsa di Mosca (-33% il Moex nella seduta del 24 febbraio, prima dello stop alle contrattazioni) e il Rublo che cede contro dollaro circa il 63% alla data del 7 marzo.

Mentre i bombardamenti proseguono e le trattative sono a un punto morto, bitcoin è finito nell’occhio del ciclone, e sotto il radar delle autorità, per il timore che possa essere un veicolo per aggirare le sanzioni dell’Occidente, in particolare l’esclusione dal circuito bancario internazionale Swift; ma anche, appunto, una scappatoia per gli oligarchi che tentano di evitare ulteriori confische.

Vediamo uno alla volta i modi in cui bitcoin può svolgere il suo ruolo in questa guerra, cercando di fare un po’ di ordine e di prospettive (numeri e dati di scambio delle ultime settimane alla mano).

Bitcoin può essere usato dalla Russia per aggirare le sanzioni?

Impossibile. È vero che i flussi sono aumentati, in media quadruplicati. In particolare, dal 24 febbraio le compravendite di tether in rublo sono aumentate da 5 milioni di dollari giornalieri dei primi 54 giorni dall’anno, a quasi 20 milioni al giorno, con picchi oltre 35 milioni. Per quanto riguarda bitcoin i volumi sono passati da 65 bitcoin al giorno a 255 con picchi di 500 (anche in questo caso quadruplicati). Le autorità di vigilanza di controparte e internazionali sono in agitazione perché temono che questo picco possa essere un sistema per sfuggire dalle sanzioni e in particolare per contrastare l’estromissione del sistema Swift. Questi numeri ci fanno invece escludere categoricamente questa ipotesi. Il volume complessivo aggiuntivo di bitcoin e tether nei giorni dal 24 febbraio al 7 marzo ammonta a 350 milioni di dollari (in totale da inizio anno i due mercati hanno movimentato cumulativamente circa 750 milioni). Si tratta di una dimensione troppo piccola per coprire movimentazioni necessarie a controbilanciare le sanzioni: che riguardano ordini di grandezza di 100 volte superiori. Le stime più prudenziali sull’andamento del Pil russo a fine 2022 vedono un calo del -7,8% (pari a circa 115 miliardi di dollari). Le riserve in valuta estera del Paese ammontano a 630 miliardi e l’esposizione debitoria verso controparti estere 478 miliardi. Gli Ide russi sono infine superiori a 17 miliardi di dollari. Non è pensabile neppure che il governo russo possa rapidamente fare uno switch da una finanza tradizionale a una basata su bitcoin perché è necessario avere un’infrastruttura tecnologica e una controparte che accetti i pagamenti in cripto: ovvero processi che richiedono investimenti cospicui e tempo.

Bitcoin è un modo per evitare le confische dei beni degli oligarchi?

Possibile, da monitorare. Un altro dei timori intorno a bitcoin è che possa essere usato dagli oligarchi russi (o ucraini) per salvare il salvabile ed evitare confische. Non si può escludere che accada che i super-ricchi della regione si servano delle criptovalute per mettere al sicuro i propri averi e la Svizzera, per esempio, ha messo sotto osservazione i conti di questi individui proprio per monitorare possibili effetti di fuga. Ma al momento non sta succedendo: ce lo dicono sempre i flussi su bitcoin che per quanto in forte ascesa, sono ancora limitati. Abbiamo visto i dati della Russia, per quanto riguarda l’Ucraina la situazione è simile. Ovvero, si nota un aumento degli acquisti di bitcoin in grivnia ucraina dopo il 24 febbraio: se fino a quella data il volume giornaliero medio era pari a 10,5 bitcoin, dall’inizio della guerra è salito a circa 19,17 bitcoin giornalieri toccando picchi pari a 79 bitcoin. Volumi troppo piccoli per poter sostenere eventuali scopi poco leciti degli oligarchi. Infine, se si guarda all’analisi dell’attivazione giornaliera di indirizzi bitcoin e anche al numero di transazioni sulla blockchain, si evince come entrambi i parametri seguano un trend stazionario da inizio 2022. Incompatibile con l’ingresso di capitali freschi in entrata nel sistema. Per ora la situazione è sotto controllo, ma è senza dubbio da tenere d’occhio.

Chi sta comprando e vendendo bitcoin in Russia e Ucraina?

Le persone comuni. Abbiamo detto dell’aumento rilevante delle transazioni dall’inizio delle ostilità. Come facciamo a sapere che chi sta comprando sono persone comuni? Ce lo dicono ancora una volta i numeri: le grandi transazioni (sopra i 100mila dollari) nel periodo tra il 24 febbraio e il 7 marzo sono rimaste in un range tra 15mila e 23mila su un totale che non si discosta per tutto il periodo dalle 300mila transazioni. E anche in questo caso non si notano movimenti anomali che possano far pensare a spostamenti di grandi capitali in corrispondenza con l’inizio e l’evoluzione della guerra. È necessario riflettere su questi numeri: vietare bitcoin in questo momento potrebbe danneggiare ancora una volta la parte debole, senza avere nessun effetto su chi si vorrebbe realmente colpire.

Bitcoin è un mezzo sicuro per trasferire denaro alle persone?

Lo è. Come in ogni conflitto, le immagini di devastazione sono accompagnate da quelle delle file delle persone agli sportelli bancari: impossibile prelevare, impossibile trovare la cassa per pagare anche beni di prima necessità che iniziano a scarseggiare. Il bitcoin può essere usato come mezzo di pagamento, che è d’altronde lo scopo per il quale nel 2009 fu creato da Satoshi Nakamoto. Negli ultimi anni bitcoin era diventato strumento speculativo o trattato come l’oro digitale, capace di funzionare da riserva di valore. Ma per quanto abbia caratteristiche che lo rendono assimilabile al metallo giallo (incorruttibilità e scarsità) bitcoin difficilmente sarà riserva di valore fin quando il prezzo sarà così altamente volatile.

Bitcoin è uno strumento di sostegno finanziario?

Lo è ed è molto efficiente e trasparente. Il 26 febbraio il profilo Twitter dell’Ucraina ha pubblicato gli indirizzi di btc ed eth dove la comunità internazionale avrebbe potuto effettuare donazioni a sostegno del popolo. Da quella data al 7 marzo si registrano 15mila transazioni per un totale di 291 bitcoin donati, ovvero più di 12 milioni di dollari, di cui ne sono stati finora utilizzati 280. Che si aggiungono alle 70mila transazioni in arrivo sull’indirizzo etherum, per un totale di 7mila eth con un controvalore di 18 milioni. Sulla blockchain è possibile vedere in qualsiasi momento quanti btc sono stati ricevuti, quanti ritirati o trasferiti ad altri indirizzi e quanti disponibili sull’indirizzo.

 

Ucraina prima in Europa nell’adozione di bitcoin, Russia prima al mondo nelle truffe. È un dato di pura curiosità. Come rileva Chainalysis nel Global Crypto Adoption Index (che si calcola in base al valore della cripto ricevuta, valore ricevuto dal retail e volume di scambio, ponderati per il potere di acquisto e il tasso di adozione di internet nel Paese), l’Ucraina si colloca prima in Europa e quarta nel mondo. Secondo l’ultimo Crypto Crime report di Chainalysis, The Blockchain Data Platform, la Russia conta per il 74% del totale delle cripto “rubate” via attacchi ransomware nel mondo. Parliamo di una cifra piccola (l’equivalente di 400 milioni di dollari), come piccolo è in generale l’ammontare delle truffe via bitcoin. Ma sono numeri che ci dicono qualcosa, probabilmente, di più della guerra crittografica in corso.

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