Numerosi fattori hanno penalizzato finora i bond emergenti
Il rialzo generalizzato dei tassi di interesse e le politiche restrittive delle banche centrali in conseguenza del nuovo ciclo inflazionistico globale; la forza del dollaro che generalmente rende più oneroso il finanziamento delle obbligazioni emesse in valuta locale; l’aumento della volatilità di mercato legata dapprima alla crisi pandemica e poi alla guerra in Ucraina; la crisi immobiliare in Cina, o meglio la crisi societaria di alcune grandi aziende cinesi nate dapprima come società immobiliari e diventate poi, a causa di scarsi controlli, dei conglomerati con elevata leva finanziaria; le politiche scellerate di alcuni, pochi, paesi come la Turchia dove l’indipendenza della banca centrale è stata seriamente messa in dubbio dagli interessi del governo.
Oggi però i bond emergenti rappresentano, nel medio lungo termine, uno dei pochi segmenti interessanti del comparto obbligazionario, ammesso che vengono selezionati oculatamente.
“A risultare interessanti sono soprattutto le obbligazioni investment grade a media scadenza in Asia, in dollari e valuta locale, e quelle high yield globali, compresi alcuni mercati di frontiera selezionati, che sono spesso anche esportatori di materie prime, non sono eccessivamente indebitati, beneficiano di alta crescita economica e hanno classi politiche migliori che in passato”, conclude Cribari. “Da molto tempo siamo investiti inoltre in obbligazioni governative cinesi che per una serie di ragioni consideriamo sostitute, a tendere, dei treasury americani e che hanno dimostrato negli ultimi trimestri, a differenza di questi ultimi, la loro funzione di hedge naturale alla volatilità di mercato”.